Una volta tanto, il tema del mio post non sarà tanto l’importanza di introdurre l’insegnamento dell’informatica come disciplina scientifica nelle scuole, ma una discussione sui benefici educativi legati a questa formazione discutendo un caso particolarissimo, quello del politico. Tre anni fa, in un convegno del nostro progetto “Programma il Futuro” alla Camera dei Deputati in cui abbiamo discusso l’importanza della formazione informatica nella scuola, durante una chiacchierata finale con bambine e bambini su cosa volessero fare da grandi, una di loro ha detto che voleva fare la parlamentare. Nel mio commento a caldo, che potete rivedere nella clip qua sotto, le davo ragione perché, in fin dei conti, voleva continuare a esercitare il pensiero computazionale.

https://youtu.be/aMIP0PZcOAs

Da un po’ di anni, in Italia e nel resto del mondo si usa questo termine, “pensiero computazionale” (computational thinking in inglese), per parlare dell’insegnamento nella scuola dell’informatica come disciplina scientifica. Ho discusso diverse volte il significato di questo termine (per esempio qui e qui) e la sua importanza per il mondo scolastico (per esempio qui e qui). Dando per scontato un lettore diligente o attento, parto quindi ricordando la sua definizione: “Il pensiero computazionale è l’insieme dei processi mentali usati per modellare una situazione e specificare i modi mediante i quali un agente elaboratore di informazioni può operare in modo effettivo all’interno della situazione stessa per raggiungere uno o più obiettivi forniti dall’esterno”.

Ogni scienziato affronta i problemi della sua disciplina con una differente forma mentis: per un fisico le situazioni vengono descritte in termini di masse, forze e campi, un biologo usa i concetti di cellula, metabolismo, riproduzione, un chimico molecola, reazione, e così via. Quando gli informatici studiano un problema, applicano la particolare forma mentale che hanno acquisito con la pratica di questa materia, forma che definiamo appunto pensiero computazionale. Esso è caratterizzato dall’affrontare un problema in termini di un esecutore al quale bisogna fornire istruzioni che lo mettono in grado di risolvere automaticamente e meccanicamente un problema.

Quest’approccio, che descrive i fenomeni come se fossero processi che elaborano rappresentazioni dei dati secondo regole descritte in altre rappresentazioni dei dati, fornisce un utile punto di vista, aggiuntivo e complementare a quello di altre discipline, per descrivere e spiegare ciò che accade. È una delle tecniche essenziali per la messa a punto di farmaci personalizzati (nella veste della bio-informatica) ma anche di servizi personalizzati (sotto forma di intelligenza artificiale). Sorprendentemente, trova una delle sue più alte applicazioni nell’attività di un politico, quando svolta a regola d’arte.

Semplificando un po’, un politico ha come obiettivo il miglioramento di una certa situazione, data tutta una serie di condizioni e di vincoli. A scanso di equivoci, mi è chiarissimo che un politico opera in uno scenario in cui gli “attori” sono persone, cioè quanto di più lontano possa esistere da meccanismi rigidamente predeterminati ed è quindi chiaro che un politico deve avere capacità di empatia, di relazione e di comunicazione. Ma questo, per lo meno per un politico di alto livello, lo do un po’ per scontato. Ciò che invece non è scontata è la capacità di operare su un piano razionale, per capire come procedere per far eseguire a un complicatissimo esecutore – costituito dalle varie forze sociali e organizzazioni pubbliche e private – un processo che soddisfi i vari interessi, spesso contrastanti tra loro. Poi, definire un “programma” per concretizzare tale processo in base a vincoli e risorse esistenti. Infine, monitorarne l’attuazione e aggiustare il tiro secondo necessità.

Non è un approccio concettualmente differente da quello che un ingegnere informatico usa (o dovrebbe usare: alle volte nella realtà non si riesce a operare seguendo fedelmente i manuali) per progettare e realizzare un sistema che soddisfa le esigenze di un cliente. Si tratta sempre di pensiero computazionale, ma a un più elevato livello di difficoltà e astrazione. Esercitare i ragazzi fin dalla scuola a questa competenza potrebbe magari produrre leader più efficaci. Nell’impenetrabile intuitiva saggezza dell’infanzia, quella bambina aveva visto più lungo di molti di noi. La discussione con i lettori interessati proseguirà su questo blog interdisciplinare.

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