Non solo per il significativo investimento finanziario (100 milioni di euro, di cui 65 per la primaria) ma anche per aver ribadito ancora una volta la centralità di questo tipo di formazione: “Il pensiero computazionale altro non è che un nuovo linguaggio, il nuovo necessario modo per entrare in contatto con la realtà, anche, e soprattutto, se non si fa di mestiere”.
Venendo da una docente universitaria di glottologia e linguistica, si tratta di un riconoscimento culturale particolarmente gradito. L’investimento è finalizzato a far sì che “il prossimo anno, tutte le scuole primarie avranno annualmente 60 ore di coding e quindi la possibilità di avere tra 10 anni una generazione di giovani italiani perfettamente alfabetizzati in quello che si chiama nuovo pensiero critico“.
Ricordo subito, a scanso di critiche superficiali, che per questo tipo di formazione non sono indispensabili quei dispositivi e infrastrutture tecnologiche che in molti, forse troppi, casi sono obsoleti, se non assenti, nelle nostre scuole. Sarà molto più importante – affinché la novità diventi permanente e strutturale – la formazione degli insegnanti e l’organizzazione dell’iniziale fase transitoria. Ma non ho dubbi che i tecnici del Ministero sapranno gestire bene questi aspetti.
Mi rendo conto che, probabilmente a causa della sua novità, il pensiero computazionale, termine che denota gli aspetti culturali dell’informatica – indipendentemente dalla tecnologia digitale in cui essa si manifesta ormai dovunque intorno a noi, viene molte volte descritto in modo parziale e quindi scorretto.
Presento quindi la rielaborazione di una mia precedente definizione: “Il pensiero computazionale è un processo mentale per far risolvere problemi a un agente, sia esso persona o macchina, fornendogli una serie di istruzioni che deve eseguire in autonomia”. Essa esplicita tutte e sole le componenti essenziali, senza le quali il pensiero computazionale diventa altro. Nel post successivo discuterò in dettaglio i vari termini segnalando, in qualche caso, alcune semplificazioni che ne alterano la natura.
Per concludere, sottolineo che il valore metodologico e interdisciplinare dell’informatica sta proprio nell’approccio basato sull’information processing agent, che offre un punto di vista sul mondo in grado di complementare la descrizione che sono in grado di farne gli altri tre domini della scienza. La bioinformatica offre in questo momento l’esempio più preclaro di tale vantaggio, ma tutte le discipline, anche quelle non scientifiche come l’arte, sono in grado di trarne giovamento.
(continua…)
Venendo da una docente universitaria di glottologia e linguistica, si tratta di un riconoscimento culturale particolarmente gradito. L’investimento è finalizzato a far sì che “il prossimo anno, tutte le scuole primarie avranno annualmente 60 ore di coding e quindi la possibilità di avere tra 10 anni una generazione di giovani italiani perfettamente alfabetizzati in quello che si chiama nuovo pensiero critico“.
Ricordo subito, a scanso di critiche superficiali, che per questo tipo di formazione non sono indispensabili quei dispositivi e infrastrutture tecnologiche che in molti, forse troppi, casi sono obsoleti, se non assenti, nelle nostre scuole. Sarà molto più importante – affinché la novità diventi permanente e strutturale – la formazione degli insegnanti e l’organizzazione dell’iniziale fase transitoria. Ma non ho dubbi che i tecnici del Ministero sapranno gestire bene questi aspetti.
Mi rendo conto che, probabilmente a causa della sua novità, il pensiero computazionale, termine che denota gli aspetti culturali dell’informatica – indipendentemente dalla tecnologia digitale in cui essa si manifesta ormai dovunque intorno a noi, viene molte volte descritto in modo parziale e quindi scorretto.
Presento quindi la rielaborazione di una mia precedente definizione: “Il pensiero computazionale è un processo mentale per far risolvere problemi a un agente, sia esso persona o macchina, fornendogli una serie di istruzioni che deve eseguire in autonomia”. Essa esplicita tutte e sole le componenti essenziali, senza le quali il pensiero computazionale diventa altro. Nel post successivo discuterò in dettaglio i vari termini segnalando, in qualche caso, alcune semplificazioni che ne alterano la natura.
Per concludere, sottolineo che il valore metodologico e interdisciplinare dell’informatica sta proprio nell’approccio basato sull’information processing agent, che offre un punto di vista sul mondo in grado di complementare la descrizione che sono in grado di farne gli altri tre domini della scienza. La bioinformatica offre in questo momento l’esempio più preclaro di tale vantaggio, ma tutte le discipline, anche quelle non scientifiche come l’arte, sono in grado di trarne giovamento.
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