Una notevole mole di proteste si è ultimamente levata contro i testi degli artisti (se tali si possono definire) della trap music: i loro continui attacchi sessisti, il loro continuo apostrofare le donne come meretrici della peggior specie (per non dire altro) ha alquanto infastidito liberi cittadini e parti sociali di vario tipo che sui social hanno lanciato i propri anatemi.

Chi si erge in loro difesa parla di libertà di espressione, di precedenti musicali altisonanti (si scomodano addirittura nomi come Kurt Cobain, Lou Reed, David Bowie e, udite udite, Franco Battiato) o di espressione di un disagio sociale, invero dimenticando che: 1) la libertà di espressione è tale fin quando non lede la dignità altrui; 2) nessuno fra i grandi della musica rock e pop ha mai sentito la necessità di offendere serialmente, fatti dunque salvi casi rari e sporadici, intere categorie umane (come quella femminile, per l’appunto) o di appartenere a movimenti musicali (chiamiamolo così, e che la parola musica ci perdoni) che ergono a pilastro fondante della propria poetica (anche qui, che la parola poesia ci possa assolvere) un sessismo del tutto gratuito e senza quartiere alcuno; 3) buona parte degli esponenti di questo genere musicale (chiamiamolo così, tanto per dire) non proviene affatto da situazioni afferenti realtà di degrado tipiche, per esempio, delle periferie dei grandi centri, bensì da situazioni sociali e familiari alquanto agiate per non dire addirittura privilegiate. A ogni buon conto, e giusto per chiudere sull’argomento del presunto disagio sociale, non si vede per quale motivo lo stesso, qualora accertato, debba dar luogo a offensive di tale portata e profondamente lesive della dignità altrui: la canzone di protesta, per dirla in altri termini, è sempre esistita, ma mai ha scelto interi gruppi umani o sociali come proprio bersaglio prediletto e al tempo stesso gratuito. Tanto premesso, nelle ultime ore le voci critiche nei confronti dei vari Sfera Ebbasta, Dark Polo Gang e compagnia trappante hanno a più riprese tirato in ballo il tema della censura, ad avviso di molti necessaria nei confronti di testi effettivamente oltremodo offensivi della dignità delle donne oltre che promotori di un notevole cumulo di evidenti disvalori.

Un richiamo, quello alla censura, che appare, alla luce di un’analisi lucida e distaccata, alquanto fuori luogo per non dire del tutto inutile, e questo sulla scorta di un ragionamento da condurre nel solco non certo della morale ma semmai della giurisprudenza: se infatti qualcuno offende qualcun altro non si ricorre certo alla censura, ma alla querela. Se poi chi offende lo fa addirittura a discapito di intere categorie allora il fatto diventa ancora più grave. Appellare ripetutamente le donne in modo osceno e senza sosta alcuna, indicarle come meri oggetti di soddisfazione sessuale e privarle sistematicamente di qualsivoglia dignità umana non è certo un giochino da bambini, ma diffamazione e violenza verbale di genere.

Non c’è dunque mica bisogno della censura, ma semmai di applicare la legge. È perciò che da più parti si levano domande, alquanto lecite, sulla posizione delle varie associazioni femministe che, sempre impegnate in più che legittime battaglie per l’affrancamento della condizione femminile da posizioni di subalternità o addirittura sottomissione nei confronti dell’emisfero maschile, non sembrano in questa specifica situazione aver colto la gravità di un messaggio, quello della trap music italiana, alquanto allarmante: “Ehi, claro che non me ne fotte un cazzo di niente, sto in fissa soltanto con pussy e firme. In testa un piano, sul cazzo due bimbe, ai piedi delle Gucci così zarre che sembrano finte” (Emis Killa); “Ehi-ehi, uo-uoo (bitch), stai invidiando il mio polso (Rolex). Ehi- ehi, uo-uoo, ho troppe bitch intorno (via, via). Ehi-ehi, uo-uoo, non so più quale scegliere (boh)” (Dark Polo Gang); “Hey troia! vieni in camera con la tua amica porca, quale? Quella dell’altra volta. Faccio paura, sono di spiaggia, vi faccio una doccia, pinacolada, bevila se sei veramente grezza, sputala, poi leccala, leccala” (Sfera Ebbasta); “Ehi, sono un pezzo grosso come Big Fish. Ehi, quando entro nel posto frà è per fare biz. Ehi, per killare il beat, per baciare i jeans, per tornare a casa con una ba-bad bitch” (Guè Pequeno); “Solo con le buche, solo con le stupide, ’ste puttane da backstage sono luride. Che simpaticone! Vogliono un cazzo che non ride, sono scorcia-troie. Siete facili, vi finisco subito” (Sfera Ebbasta); “Ogni giorno scarpe nuove, mi frega un cazzo di chi odia. Metti un guinzaglio alla tua ragazza, ci vede e si comporta come una troia” (Dark Polo Gang); “Ho i soldi in tasca e lo zio Tommy che mi scorta, scelgo una tipa, nessuna dice di no, me la portano in camera con una vodka” (Sfera Ebbasta).

Queste solo alcune delle miriadi di perle sessiste con cui gli artisti (per chi ha il coraggio di definirli tali) della trap farciscono i loro testi, in una rincorsa a chi riesce non solo a offendere meglio e più profondamente l’intera categoria femminile, ma in quella che sembra essere altresì una gara a chi riesce a farlo utilizzando raffinatissime tecniche letterarie degne di un bambino a cui è malauguratamente venuto a mancare l’insegnante delle scuole elementari. È perciò, in conclusione, che ci chiediamo quale sia a riguardo la posizione delle miriadi di associazioni e collettivi femministi che, impegnati nelle tante battaglie per l’emancipazione femminile, non hanno forse ancora colto un messaggio, quello dei trapper, che indignando il mondo degli adulti sta al contempo formando le abitudini mentali delle nuove generazioni.

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