Seguita la meritevolissima opera dell’editore Bompiani nella pubblicazione dei tanto discussi Quaderni neri di Martin Heidegger. Nell’ultimo volume pubblicato, che raccoglie le “Note I-V” redatte tra il 1942 e il 1948, vi è – com’era da aspettarsi – tutta una serie di sviluppi, che sono interessanti non solo per lo studioso specialista e attento alle evoluzioni della Heidegger-Forschung, ma anche per lo storico e per chiunque abbia interesse a comprendere il mondo del tecnocapitalismo così come viene esaminato dal “pensiero dell’essere” (Seinsdenken). Leggerli può, peraltro, giovare a un più sobrio inquadramento dell’autore, contro gli eccessi di certi studiosi anche nostrani, ossessionati dall’antisemitismo e dal presunto intrinseco nazismo del filosofo di Essere e Tempo.

Nel testo, ad esempio, è custodita una fondamentale disamina del comunismo in relazione alla tecnica, ma poi anche in connessione con la metafisica come verità dell’ente in quanto tale in Karl Marx e in Friedrich Hegel. Addirittura, Heidegger si spinge a sostenere che il comunismo sovietico è realizzazione della metafisica di Hegel per il tramite del suo rovesciamento-compimento marxiano. Ugualmente interessante è la spietata critica, costantemente ribadita, della barbarie nazista, della follia hitleriana e – udite, udite! – dell’antisemitismo, giudicato apertis verbis come incondizionato erramento. Heidegger scrive testualmente che l’Europa è divenuta “un unico ufficio”, quasi anticipando, con la sua analisi, l’essenza odierna dell’Unione europea come tecnocrazia efficiente quanto repressiva.

Per quel che concerne la Germania, Heidegger, con note a tinte fosche, asserisce che essa è ormai distrutta. Distrutta non solo dalla barbarie hitleriana, ma anche ad opera degli americani. Non resta – egli scrive – che annientare spiritualmente i tedeschi. Ed è ciò che avverrà, in effetti, negli anni seguenti, con la più volgare americanizzazione della cultura tedesca. E ciò lungo il piano inclinato che ci porta al nostro presente, in cui in Germania non v’è più traccia di un Goethe o di uno Schiller, né della grande tradizione filologica. Ricordo di un seminario su Platone che seguii nel 2009 a Bielefeld: non uno studente che sapesse il greco antico.

Sempre nel testo, Heidegger fa autocritica. Sottopone a una scherzate requisitoria la sua pur breve adesione al nazismo, come anche il famoso discorso che pronunziò come rettore nel 1933. E dice, non senza buone ragioni, che tutto ciò viene usato contro di lui per marginalizzarlo. Il riferimento è ovviamente al doloroso allontanamento forzato dall’insegnamento universitario impostogli dopo la fine del nazismo. Allontanamento del quale nel testo discute a più riprese. Insomma, per questi e per molti altri motivi, i Quaderni neri meritano di essere letti e meditati con spirito critico, a giusta distanza dai due fanatismi complementari dell’odio apriorico e dell’esaltazione entusiastica.

Voglio qui citare un solo passaggio, che stimola massimamente un ripensamento del nostro presente, la “notte del mondo” in cui il buio è talmente fitto che nemmeno più si è in grado di vederlo: “Dov’è che c’è ancora un ciabattino che potrebbe prendere la misura e cucire tutto con le mani? Uno che non consegni delle merci, bensì delle scarpe, in cui una ‘vita’ sia in grado di camminare?”.

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