“Razionalizzazione”: significa rendere razionale, far diventare più rispondente a criteri di funzionalità o di efficienza. In gergo industriale, invece, questo termine è diventato un modo garbato di parlare di licenziamenti: saranno circa 15 mila quelli che si appresta a fare la General Motors, indicati nero su bianco nel nuovo piano industriale dell’azienda. Giù dalla rupe anche cinque fabbriche nordamericane di auto e motori, che saranno chiuse il prossimo anno. In pensione pure diversi modelli di scarso successo, prevalentemente berline.

Qualcuno già parla di “ridimensionamento fisiologico”, che segue l’uscita di scena del costruttore dal vecchio continente – coincisa con la cessione di Opel a gruppo PSA poco più di un anno fa – ma anche da mercati strategici come India, Sudafrica, Russia e Sud Est asiatico. Inoltre, l’azienda ha tirato i remi in barca in Australia e Corea del Sud, dove ha chiuso le fabbriche che aveva in loco. Quindi, l’accettata agli impianti produttivi presenti in USA e Canada era solo una questione di tempo, così come quella programmata in altri due impianti da definire al di fuori del Nordamerica. In ogni caso, la scure della razionalizzazione non riguarderà solo le tute blu: a farne le spese saranno pure quadri e dirigenti, tagliati per il 25%, contro il 15% degli addetti salariati e a contratto.

Ma sarebbe anche ingiusto non ricordare che negli ultimi 4 anni GM ha investito nella sua filiale nazionale ben 6,6 miliardi di dollari, creando o garantendo quasi 18 mila posti di lavoro. Tuttavia, il mercato impone di puntare esclusivamente sui modelli di successo – suv e pickup in primis, i più apprezzati al di là dell’Atlantico – e concentrarne la produzione in un numero minore di stabilimenti, al fine di ottimizzare al massimo le economie di scala (anche attraverso una più ampia condivisione della componentistica e una progettazione sempre più integrata fra i vari modelli).

“Le azioni che intraprendiamo oggi portano avanti quella trasformazione che ci possa rendere agili, resilienti e redditizi, dandoci la flessibilità di investire nel futuro”, ha dichiarato il ceo e presidente di GM, Mary Barra: “Riconosciamo la necessità di affrontare le mutevoli condizioni del mercato e delle preferenze dei clienti per posizionare la nostra azienda consentendo un successo di lungo termine”.

A quanto ammonta questo successo nel breve termine? A una generazione di cassa di 6 miliardi euro entro fine 2020, derivanti per 4,5 miliardi dal taglio dei costi e per 1,5 miliardi dalla riduzione degli investimenti. Questi ultimi saranno concentrati sulle tecnologie di propulsione elettrica – cioè la creazione di architetture a batteria – e sulla guida autonoma, tanto che in questi settori l’impegno economico della multinazionale per la ricerca e lo sviluppo sarà addirittura raddoppiato. L’obiettivo per i prossimi anni è ridurre al minimo indispensabile le piattaforme costruttive.

Naturalmente, il presidente Trump non ha preso affatto bene la decisione di GM. “Questo paese ha fatto molto per la General Motors”, ha detto il tycoon mentre lasciava la Casa Bianca per una serie di eventi elettorali in Mississippi: in GM “farebbero bene a tornare in Ohio (dove è presente uno degli stabilimenti che verrà chiuso, ndr.) e presto. A tal fine faremo parecchia pressione su di loro”. Trump ha detto di aver parlato con Mary Barra, affermando di essere stato “molto duro” in merito alla questione occupazionale. Ma forse non abbastanza per convincerla. Inoltre, durante la campagna in Ohio, lo scorso agosto, Trump aveva promesso il ritorno delle grandi multinazionali (pure negli Stati di Michigan e Pennsylvania), garantendo nuovi posti di lavoro…

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