Sì, è passato tanto tempo, ma non sono scappato. Alla mia veneranda età si conceda un pizzico di sosta ogni tanto necessitata. Sono stato silente a lungo per mia scelta: dopo aver per tre anni seminato l’idea che ci sono altri modi per uscire dalle secche “manifatturiere” in cui il nostro Paese si trova – per supponente insipienza degli economisti, ben più che dei politici – e dopo aver dato le tracce del progetto che unico ritengo utile e necessario per ridare linfa alla nostra capacità di prendere ordini, specie all’estero, ho deciso di lasciar sviluppare l’azione di questo nuovo governo (che io apprezzo) per vedere quali passi intendeva fare per rilanciarci nel mondo.

Ohibò, ho sentito la solita sempiterna musica. I Keynes di oggi (leggi Stiglitz, Fitoussi e compagnia cantante, allevata sui libri sacri delle polverose biblioteche), per niente innovativi, declinano più o meno vigorosamente le solite giaculatorie: investimenti da parte dello Stato e dei privati, altrimenti l’economia manifatturiera non riprende. Mamma mia! Son secoli che dicono le stesse cose. Consentitemi di fare alcune precisazioni. Se mi sentite presuntuoso vi chiedo perdono, non è nelle mie intenzioni.

Vero, lo Stato “deve” fare investimenti per creare lavoro e quindi far riprendere la domanda interna che langue assai. Ma, per chiarezza, può rilanciare opere pubbliche e questo non ha soverchia incidenza sull’impresa manifatturiera – che rimane asfittica come oggi da anni – e la manifatturiera è la principale responsabile della disoccupazione, specie giovanile. Anche se, va chiaramente detto, ancora più colpevole – per quanto riguarda la nostra disoccupazione specie se giovanile – è lo stolto comportamento della nostra gente, quantomeno della grande maggioranza, che comperando una Harley Davidson o una Yamaha invece che una Ducati o una Mv-Agusta o una Guzzi fanno lavorare i giovani americani o giapponesi ma condannano i nostri giovani a un’umiliante inattività fino alla pensione. Bravi, bravissimi, 7+! Si tratta degli stessi intelligentissimi e saggi italiani che rimproverano allo Stato italiano il problema sociale che loro stessi creano.

Vero, non abbiamo sovranità monetaria. Eravamo abituati a svalutare allegramente e a esportare facilmente, ma per fortuna è arrivato l’euro, che ci ha salvati da botte di interessi passivi mortali. Con l’entrata della Cina nella competizione mondiale la nostra svalutazione avrebbe preso insostenibili andazzi disastrosi. Era una strada da evitarsi, e coloro che hanno condotto l’Italia nell’euro, almeno sotto questo profilo, hanno avuto per fortuna una vista lunga.

Vero, creare moneta non costa nulla (apparentemente) ma ne abbiamo creata talmente tanta, nel mondo, per cui alla fin fine abbiamo fatto la fortuna dei grandi finanzieri privati e dei produttori di rotative stampa-bigliettoni. Ma si tratta di carta, legata a un sogno. E se quel sogno (la moneta si può creare ad libitum) si rivelasse improvvisamente fallace? I segni, cari lettori, ci sono tutti, ma proprio tutti: questa legge della moneta non contempla alcun “intorno” nel quale la sua validità sia sempre indiscussa. In realtà questo intorno esiste, è identificabile ed è già stato sforato allegramente. Ne è uscita un’iniquità sociale mai vista, con crescenti ricchi sempre più ricchi e crescenti poveri sempre più poveri. Ma questa era la situazione alla base della Rivoluzione francese.

L’industria manifatturiera continua a languire. E sì che non avrebbe bisogno di nuovi investimenti, straricca di assets com’è, male utilizzati e scarsi di profitti. Ho scritto a Di Maio, a Di Battista, a Landini, a Prodi: nessuna risposta. Il vero problema è che queste persone, degnissime per carità, non conoscono la realtà e il “come si muove” del nostro mondo manifatturiero. E non vogliono aprirsi a un esame più profondo, paghi di una sostanziale incultura al riguardo: si rivolgono al sistema universitario (l’archetipo bocconiano) per avere un aiuto, ma questo risponde con le solite giaculatorie che non servono a nulla da decenni.

Questo post esprime la mia amarezza, ma non per me stesso: per i nostri giovani che, se sono disoccupati, lo devono a un sistema fondato su un forte egocentrismo privato e su una rigidità mentale del sistema universitario. I politici sono gli ultimi e non principali colpevoli di questa situazione. Continuate, o italiani, a comprare Harley Davidson o Yamaha. Continuate, o universitari, a ignorare il mondo delle nostre aziende, così particolari, così frammentarie, così povere di capitali propri. Continuate, o politici, a chiedere soluzioni alle sempiterne fonti che al riguardo non hanno finora cavato un ragno dal buco. Chissà, magari arriva pure un miracolo di Sant’Antonio.

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