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Milano, ‘schiaffi’ alla figlia neonata e violenze sulla moglie: afgano di 30 anni condannato a tre anni e otto mesi

Le accuse sono di maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale. La donna, sposa bambina a 15 anni in Pakistan, ha denunciato anche diversi episodi di stupro. Le due ora sono al sicuro in comunità
Milano, ‘schiaffi’ alla figlia neonata e violenze sulla moglie: afgano di 30 anni condannato a tre anni e otto mesi
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Calci e pugni alla moglie e ‘schiaffi‘ alla figlia neonata, solo perché femmina. Per questo un uomo di 30 anni di origine afgana è stato condannato a 3 anni e 8 mesi dal Gup di Milano, Guido Salvini. Le accuse sono di maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale.

Diversi i soprusi subiti dalla donna, sposa bambina a 15 anni in Pakistan. L’uomo infatti, dopo aver segregato in casa la moglie 22enne, l’ha stuprata più volte, l’ha ferita a una gamba con un coltello e l’ha minacciata di morte se non avesse obbedito agli ordini. Durante le violenze, oltre alle mani, per colpirla avrebbe utilizzato anche una cinghia. La piccola, che ha assistito spesso agli episodi, ha poco più di un anno e la sua unica ‘colpa’ è quella di non essere nata maschio, come lui avrebbe voluto.

“Il matrimonio è stato celebrato in Pakistan nel 2014, poi il marito è partito e la moglie lo ha raggiunto nel marzo del 2018. Quando sono arrivate in Italia per lei e la bambina è iniziato l’incubo”, ha spiegato l’avvocato Ilaria Scaccabarozzi, che difende la donna. Le violenze sono andate avanti fino a giugno, quando la 22enne, grazie all’aiuto di una conoscente, si è messa in contatto con il centro anti violenze della clinica Mangiagalli ed è riuscita a denunciare il marito.

Il gup Salvini ha riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche, considerando che l’uomo era in possesso di regolare permesso di soggiorno. Il 30enne, a pena conclusa, sarà espulso. Intanto il giudice lo ha condannato anche a pagare un risarcimento di 20mila euro alla moglie.  “L’obiettivo – ha continuato l’avvocato Scaccabarozzi – è quello di aiutarla a inserirsi e a trovare un lavoro in Italia, anche perché non può più tornare indietro. La sua famiglia, durante tutti questi mesi di calvario, non le è stata di supporto”. Mamma e figlia sono ora al sicuro in comunità.

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