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Il mio primo anno senza Leopolda. E De Gregori me la racconta

Il mio primo anno senza Leopolda. E De Gregori me la racconta
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Ebbene no, non sono alla Leopolda. Perdonate la prima persona, ma è la prima volta dal 2012 (mancavo anche alla prima, quella del 2011) e quindi è una specie di evento, per quel che mi riguarda. Ma soprattutto è da ieri che mi arrivano messaggi e telefonate. “Sei qui?”. “A che ora arrivi?” “Come ti sembra a Firenze?” “Mi racconti la Leopolda in due parole?” “Ci incontriamo, che ho delle cose da dirti?”.

Ecco, io com’è la Leopolda numero 9 non lo so. Non ci sono, e quindi – pure se me la immagino – non ho titolo per descriverla. Però, ieri ho sentito (in streaming) la canzone che risuonava nelle arcate della vecchia stazione industriale, alla fine della prima serata. Quelli che restano di Francesco De Gregori ed Elisa. Il titolo è già tutto un programma. Evoca resistenti, affezionati. Ma pure reduci. Note malinconiche, parole struggenti.

Qualche verso parla da solo. “La più grande fatica è riuscire a non far niente”. E questo, quanto meno per Renzi è autobiografico, mentre si agita tra conferenze, documentari, viaggi internazionali e piani A, B, C per fare il congresso, per non farlo, per riprendersi il Pd, per uscire dal Pd, per distruggere il Pd. Canta De Gregori: “Mi perdevo dietro chissà quale grande magia, quale grande canzone” e poi parla di “sassi più o meno preziosi e qualche ricordo importante che si sente sempre”. Quanta nostalgia che ci dev’essere per gli anni con il vento in poppa, la Rottamazione, le scalate, Palazzo Chigi. “Ma noi siamo quelli che restano in piedi e barcollano”, cantano entrambi, De Gregori ed Elisa. Ammissione?

E ancora: “Avremo gli occhi vigili e attenti e selvatici come gli animali”. Strategia? “Mi voltavo a guardare indietro e indietro ormai per me non c’era niente. Avevo capito le regole del gioco e ne volevo un altro uno da prendere più seriamente”. Consapevolezza? E poi, soprattutto: “Più di una volta sei andato diritto, diritto sparato contro un muro”. È Matteo che parla della promessa di lasciare in caso di sconfitta al referendum? O dei 10, 100, 1000 muri che ha preso a testate negli anni, in maniera più o meno indifferenziata? Attenzione al finale. Parla di “quelli che anche voi chissà quante volte ci avete preso per dei coglioni”. Però poi avverte: “Ma quando siete stanchi e senza neanche una voglia. Siamo noi quei pazzi che venite a cercare”. La speranza è l’ultima a morire. Ma pure la tenacia, anche se chissà per quale progetto.

Ecco, forse la Leopolda quest’anno è un po’ così. Ma attenti, io non ci sono.

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