Scegliere di lavorare in periferia per necessità e poi accorgersi di non volersene più andare. E’ il destino comune di diverse realtà creative e artigianali milanesi: orafi, ristoratori, designer multimediali ma anche artigiani del metallo.
“Noi stiamo cominciando a vivere sempre di più il nostro quartiere – spiega Giorgia Pisciutti, orafa della Stadera, periferia sud di Milano – Vorremmo essere quella scintilla che fa nascere qualcosa cominciando dalla condivisione fino ad arrivare ad apportare cultura nel nostro quartiere”.Spostare le proprie attività in periferia significa superare quel binomio periferia-degrado che spesso domina il dibattito pubblico.
E’ il tentativo che da anni da cerca di fare l’Associazione “Tumb Tumb”: a partire dal dicembre 2015 ha incontrato oltre 160 realtà milanesi di ogni tipo che in modi diversi cercare di animare la vita culturale in periferia. Questo lungo percorso è confluito in “Super“, un festival delle periferie tenutosi a Milano dal 12 al 14 ottobre. “E’ vero che in periferia ci sono un sacco di questioni difficilissime legate al tema della povertà – spiega Federica Verona, presidente di “Tumb Tumb” – però è anche vero che le periferie sono ricche di realtà che fanno vivere questi territori dal basso”.
Rendere questi luoghi vivi. Una visione esattamente opposta da chi come il ministro degli Interni Matteo Salvini ha recentemente proposto di chiudere tutti i negozi etnici alle 21 per motivi di sicurezza. Chi è ormai radicato in periferia per questioni lavorative è, invece, convinto che questi esercizi abbiano un’importante funzione sociale: “Questi negozi sono le luci che si affacciano sulle strade e danno la possibilità di attraversare territori vivi e non luoghi bui”.
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