La guerra delle amministrazioni locali e regionali al motore diesel ha una data di “innesco” precisa: settembre 2015. Tre anni fa, infatti, lo scoppio dello scandalo emissioni ha dato il via alla crociata contro i propulsori a gasolio che stiamo vivendo oggi, donando al contempo nuovo slancio alla necessità di elettrificare i propulsori a scoppio – con l’ibrido sempre più evoluto e in grado di marciare in modalità elettrica per diversi chilometri – in attesa della transizione di massa all’automobilismo 100% elettrico. Non solo, nel turbine delle contestazioni sono finiti anche i motori a benzina che, come quelli a gasolio, rischiano di essere messi al bando dai centri storici di alcune delle maggiori città europee.

Ma se il futuro dei motori a benzina, complice la progressiva ibridizzazione, sembra essere ancora molto lungo, quello dei ti-di appare assai più incerto. Lo dice il mercato, che ha puntato la barra in tutt’altra direzione. Non a caso le vendite di auto turbodiesel stanno crollando in tutta Europa: nel secondo trimestre 2018 sono scese del 15,5%, arrivando a una fetta di mercato del 36,3% contro quella del 45,2% dello stesso trimestre 2017. Di contro, crescono le vendite dei veicoli a benzina (+19,8%), con una quota che nel secondo trimestre vale il 56,7% (+7%) e quelle dei veicoli con alimentazione alternativa, cioè elettriche, ibride, Gpl e metano: nel periodo preso in considerazione rappresentano il 6,9% del mercato, in crescita di oltre il 44%. Il futuro è dunque elettrificato e diesel free, almeno nel lungo termine.

Questo spiega perché molti costruttori stiano facendo dietrofront sul diesel: FCA ad esempio smetterà di produrre motori a gasolio a partire dal 2021 (Porsche lo ha già fatto, mentre Nissan lo farà nel 2020), Toyota li ha praticamente dismessi del tutto puntando sull’ibrido, ed anche quelli che maggiormente hanno investito su questa tecnologia, come Volkswagen, stanno progressivamente abbandonando il diesel sui modelli di taglia piccola.

Il colosso tedesco crede ancora nel gasolio come soluzione di medio termine ma, già dal 2020, lancerà una grande offensiva di prodotti elettrici che promette di far diventare “democratica” la tecnologia elettrica. In generale, poi, il turbodiesel di piccola cilindrata ha i giorni contati. E poco importa che i diesel Euro 6 di ultima generazione garantiscano livelli di emissioni inquinanti assai ridotti e, ad oggi, costituiscano un’alternativa ecologica sui veicoli di grosse dimensioni ed alta cilindrata: l’opinione pubblica ormai è schierata. E il mercato si sta adeguando.

Tuttavia, gli esiti di queste vicende industriali e politiche finiscono, spesso, sulle spalle degli automobilisti meno ricchi, obbligati a cambiare auto (o ad abbandonarla definitivamente se non hanno la possibilità economica di farlo) o a trovarsi fra le mani vetture invendibili o con forte indice di svalutazione. Non esiste, peraltro, un’armonia operativa fra i divieti alla circolazione dei veicoli più inquinanti istituiti dalle varie amministrazioni italiane: perciò modelli “a norma” fuori città diventano legali se il proprietario ha raggiunto una certa età (in Veneto “servono” 70 anni) o abita in provincia, come se quanto scritto all’anagrafe o l’ubicazione geografica del mezzo influiscano sul suo impatto ambientale. Se non altro almeno in Veneto sono esentati dai limiti di circolazione i cittadini con reddito inferiore a 16.700 euro.

La tagliola alla circolazione, poi, riguarda talvolta anche vetture relativamente recenti e le discrimina in base al tipo di alimentazione: in Emilia Romagna, ad esempio, le auto a benzina da Euro 2 a Euro 6 possono circolare liberamente ma se sono diesel devono essere almeno Euro 5 per risultare a norma. Senza contare che si rischierebbe di finire nel turbinio dei luoghi comuni denunciando la scarsezza di mezzi pubblici – talvolta essi stessi non in regola in tema di emissioni inquinanti – alternativi alla mobilità individuale. Ma tant’è…

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