Il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia è legittimato a continuare non credere che gli americani abbiano messo piede sulla Luna, ma pure lui deve prendere atto che i pirati informatici sono sbarcati di nuovo sul pianeta digitale della piattaforma Rousseau. L’evento non essendo nuovo non avrebbe nemmeno dignità di notizia. Ma siccome l’alzar le spalle sembra un pochino eccessivo, viene da lasciarsi scappare qualche riflessione ad alta voce.

A voler fare un paragone “condominiale”, non è apparsa una macchia di umido sul soffitto ma è scoppiata una bombola del gas. Il sistema Rousseau è il tessuto connettivo di un movimento o partito di governo, è il veicolo di scambi informativi delicati (sennò bastava un vecchio gruppo su Yahoo o una più contemporanea chat su WhatsApp), è il cruscotto di “comando e controllo”, è il motore di tanti processi decisionali.

A immaginare invece un’automobile lasciata aperta e con le chiavi inserite nel cruscotto nel parcheggio di uno zoo o di un circo, non fa piacere sentir richiamata l’attenzione da un clacson suonato con insistenza e poi voltarsi per scoprire cosa è accaduto. Non tranquillizza prendere atto che un simpatico macaco – sfuggito agli inservienti distratti – si è chiuso all’interno dell’abitacolo, ha avviato la vettura e si accinge a muovere.

Mentre tutti (a prescindere dalla reale competenza in materia) continuano a parlare di cyber security, nessuno (“Nessuno, ti giuro nessuno” a parafrasare Mina) fa nulla di concreto nonostante la vulnerabilità tecnologica del Paese sia sotto gli occhi di tutti. Sono paralizzate le istituzioni che dovrebbero tracciare l’indirizzo, sono ferme le aziende di settore deputate a produrre quel che serve, sono immobili le imprese tenute a cautelarsi per la loro stessa sopravvivenza. Sono le società di catering che lavorano nei convegni in tema di sicurezza digitale le uniche a non conoscere sosta.

Diciamocelo senza falsi pudori. Non frega niente a nessuno. Ricordo la mortificazione che ho provato nella mia audizione in tema di difesa cibernetica dinanzi al Copasir il 2 dicembre 2009, davanti a parlamentari che invece di ascoltarmi spippolavano il rispettivo cellulare, chi a mandar messaggi e chi a legger d’altro, mettendo a dura prova il mio istinto ad andarmene interrompendo il mio tanto accorato quanto inutile discorso. Al governo c’era Massimo D’Alema, a sottolineare che nei quasi dieci anni trascorsi l’unica cosa che non è variata è l’insormontabile livello di indifferenza al problema.

Mi auguravo che il tanto agognato “cambiamento” potesse includere un diverso approccio a queste tematiche, prioritarie a dispetto della loro apparente immaterialità. Invece anche le formazioni politiche che devono alle tecnologie il loro successo e lo stretto rapporto con i cittadini non sembrano interessate alla faccenda. Continuo a scriverne e a discuterne – e come me altri – ma serve a poco. Le minacce telematiche ormai sono talmente diffuse da non incuriosire più.

All’hacker, però, non toccherà la fine del marziano di Ennio Flajano. Anche se – soprattutto in casa M5s – si farà l’abitudine ad averlo tra i piedi, nessuno avrà il coraggio di apostrofrarlo con quell’immortale “facce ride” perché la situazione è troppo seria per lasciarci cercare l’occasione per una risata.

@Umberto_Rapetto

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