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Ponte Morandi, ora monta la rabbia

Ponte Morandi, ora monta la rabbia
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di Francesco Desogus

Sul ponte Morandi ci siamo passati tutti. Inevitabile anche per un sardo come me in auto e diretto o di ritorno da qualche parte in “Continente“. Inutile negarlo, chiunque poteva subire la sorte assurda di quei poveretti. L’incommensurabile, l’imprevisto, chiamalo pure destino, spaventa a chi non subisce, a chi legge dopo. Poi,  se ora monta la rabbia,  è perché non si vuole assistere di nuovo a un film già visto mille volte, con un finale, dopo molto tempo, senza colpevoli, un incidente, forse un fulmine. Tutto si risolverà come un tragico caso?

Il popolo non è più il popolino da accontentare, volgare e analfabeta. Il popolo è cresciuto, decide e se ritiene, applaude o fischia,  sono cittadini. Non sta in piazza con lo sguardo all’insù a prendere per buono e giusto tutto ciò che il principe propina dal balcone reale. E’ consapevole e, soprattutto, grazie alla rete non dimentica più. Oggi sa differenziare e giustificare le sue espressioni, le monetine tirate a Craxi con i selfie di Salvini ad un funerale di Stato. Rivedendo momenti simili così drammatici, cinquant’anni da piazza Fontana, attraverso la stazione di Bologna fino alle stragi per Falcone e Borsellino, ci mancavano le grigliate di pesce a Cortina, da parte di chi ha fatto finta di niente all’indomani della tragedia, sebbene massimamente toccato.  Ovvero, se ti beccano con l’amante a letto, nega comunque, infondi il dubbio e farà meno male. La normalità non turba, un classico.

Ancora questa Italia lamentosa, pasticciona, improvvisata, clientelare e arruffona? Qualcuno afferma che è iniziata la terza Repubblica, quella del cambiamento, quella dei cittadini. Si modifica finalmente il rapporto tra chi scrive le regole e comanda e chi le rispetta e spesso le subisce. Per ironia della sorte, il Bel Paese ha spesso una “B” lettera iniziale che lascia dei segni nella sua storia recente: Benso, Benito, Bettino, Berlusconi, Beppe. Oggi spetta ai Benetton, portabandiera dei “grandi” nomi italiani per quel modo di fare furbesco e affaristico tutto nostrano, grazie ad un potere politico compiacente se non complice, se non esso stesso membro diretto. Roba loro, tanto da blindare con il segreto di stato i contratti.

Un sistema che deve giungere al termine. Tuttavia, è difficile prevedere se dopo questa disgrazia qualcosa cosa cambierà per davvero ai piani alti, quanto tempo ci vorrà  grazie anche alle leggi che hanno disegnato per proteggersi. Ma è già chiaro e indiscutibile che l’italiano è stufo di subire e non starà più a guardare in silenzio: con fischi, applausi e, quando sarà,  grazie ad una matita copiativa.

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