Mediaset fa buon viso a cattivo gioco. In un inedito scenario politico, le tv della famiglia Berlusconi rivendicano il ruolo di campione nazionale destinato ad essere la “locomotiva” di un più ampio progetto europeo. Con o senza il socio Vivendi al quale il cda Mediaset vieta l’ingresso all’assemblea annuale sui risultati 2017. Così con i francesi fuori dalla porta, l’assise si trasforma nel manifesto programmatico dell’azienda, che, secondo il presidente Fedele Confalonieri, troppo spesso è chiamata in causa a sproposito sulla questione del conflitto d’interessi. “Siamo tirati in ballo, impropriamente, come un elemento della lotta politica – spiega Confalonieri nel corso dell’assemblea – Da che parte sta Mediaset? Di chi fa il gioco? Si parla a vanvera di conflitto di interessi, ma sfido chiunque a valutare i nostri programmi come qualcosa di organico a qualcuno, mentre è vero che tutti i giovani protagonisti della nuova politica italiana si sono fatti le ossa e si sono fatti conoscere nei nostri studi televisivi”.

Secondo Confalonieri, Mediaset ha superato tanti esami “ma certo ogni volta la sfida è nuova”. Così come nuovo è il governo gialloverde con i 5Stelle posizionati strategicamente su editoria e telecomunicazioni affidati rispettivamente al sottosegretario Vito Crimi e al ministro del lavoro e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio. In questo scenario politico, dall’assemblea di Mediaset Confalonieri ha ritenuto importante ricordare a tutti le caratteristiche di un gruppo da 3,6 miliardi di fatturato con una forte presenza in Italia e in Spagna e 90 milioni di utili nel 2017: “Posso dire che abbiamo le carte in regola per essere trattati per quello che siamo – ha spiegato il manager -: un grande gruppo di comunicazione, un campione nazionale in Italia e Spagna dotato dei numeri necessari per guardare ad una crescita pan-europea”.

E’ presto per dire come avverrà l’internazionalizzazione di Mediaset. Ma di certo il progetto non contempla Vivendi che, nonostante il suo 28,8% in Mediaset, è rimasta fuori dall’assemblea dei soci. A nulla è servito il fatto che il finanziere bretone, cui fa capo anche poco meno del 24% di Telecom, si sia allineato ai diktat dell’autorità di vigilanza Agcom trasferendo il 19,19% delle azioni detenute in Mediaset a un gestore indipendente, Simon Fiduciaria. Il consiglio di Cologno Monzese ha ritenuto di “opporsi alla richiesta di Simon di esercitare i diritti di voto, e le connesse facoltà, inerenti alla partecipazione” e di “non consentire al delegato di Simon l’accesso ai lavori assembleari”. Alla base di questa decisione, i pareri legali dei consulenti Mediaset che hanno rilevato come Vivendi abbia acquistato azioni Mediaset “in violazione delle obbligazioni assunte dall’azienda francese (…) con il contratto stipulato l’8 aprile 2016” per la cessione di Mediaset Premium spa, e delle disposizioni di cui all’art. 43 Tusmar” relativo al divieto di possedere congiuntamente pacchetti rilevanti in società media e telecomunicazioni.

Del resto, come ha ricordato l’ad di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, con Vivendi “siamo alle vie legali”. Difficile quindi immaginare che, come ha spiegato l’ad, l’azienda francese della famiglia Bolloré possa essere “direttamente coinvolta a livello industriale” in un progetto paneuropeo con Mediaset come capofila. Senza tuttavia escludere un coinvolgimento “in quanto socio” in un progetto che  “locomotiva trainante” le tv di Berlusconi. Pensando ai partner, in assemblea, Confalonieri ha fatto invece riferimento a Sky e a Tim con cui il gruppo di Cologno Monzese ha stretto degli accordi rispettivamente per il satellite a pagamento e per la ri-trasmissione di contenuti. Intese che, secondo il manager, “avranno un impatto incrementale sui conti del gruppo grazie a due collaborazioni “in una linea di coerenza con il piano strategico che ci porterà al 2020″. Non a caso, a lungo, in passato, Mediaset ha corteggiato Telecom con l’obiettivo di costruire un futuro insieme. Ma le nozze sono sempre sfumate finché, complice la crisi bancaria, Tim è finita prima nelle mani della spagnola Telefonica, poi in quelle di Vivendi per poi trasformarsi più recentemente in public company sotto la spinta del fondo Elliott, lo stesso che ha finanziato i cinesi nell’acquisto del Milan dalla Fininvest. Con il contributo della Cassa Depositi e Prestiti il cui ruolo nello sviluppo di media e delle nuove tecnologie italiane è ancora tutto da scrivere in funzione delle decisioni del nuovo governo.

In attesa di osservare come si evolverà il panorama italiano, in assemblea Mediaset ha ostentato ottimismo sul fronte degli introiti pubblicitari. “Chiuderemo il primo semestre con il segno più davanti, che, visto l’andamento del mercato, è un segno più importante”, ha concluso l’ad Berlusconi che ha evidenziato come la raccolta sui Mondiali “stia andando molto bene”. Senza però entrare nel merito dell’avanzata dell’online nel mondo pubblicitario italiano. Un tema scottante che rischia di pesare sul futuro delle tv italiane.

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