Non c’è donna che nella vita non abbia avuto la tentazione di abbracciare l’ossessione della casa, dell’igiene a tutti costi, o che abbia dedicato all’estetica della abitazione più tempo di quanto non meritasse. Per alcune rappresenta un momentaneo scivolone, magari in un periodo privo di frivolezze e divertimento e che sparisce nel giro di poco, per altre invece la cura maniacale della casa resta una fetta importante di tempo sottratto a se stesse e alle proprie passioni.

Quando Luca stava per divorziare da sua moglie, un giorno mi ha detto: “Beh almeno non sarò più costretto a pulire il box ogni volta che faccio una doccia”. Ci sono donne che stirano fino a tarda notte quando tutta la famiglia è al riposo nei propri letti, donne che mettono la sveglia un’ora prima per rassettare ambienti che resteranno vuoti per tutta la giornata. I mariti, in un misto di indifferenza e rassegnazione, spiegano: “Ci tiene molto alla casa”.

Nel libro Donne che corrono coi lupi, la scrittrice Clarissa Pinkola Estés racconta la storia di una donna molto infelice, privata di ogni impulso vitale da un’esistenza sempre uguale se stessa, che prima di spararsi una fucilata in bocca lustra i pavimenti di casa. E scrive: “Non c’è donna che non sappia perché prima lavò i pavimenti”.

La casa, in quanto proprietà, diventa un oggetto che ci possiede e che governa il nostro tempo. Regalare troppo spazio alle cose ci priva delle idee, dei desideri. Non si possono dedicare ore al compimento di azioni monotone come spolverare o scopare, giorno dopo giorno, senza esserne mentalmente annientate, frustrate. È una caratteristica tutta al femminile, non ho mai sentito di un uomo che tenesse all’aspetto della casa tanto quanto una donna o che fosse lui in prima persona a occuparsene. È vero, molte ci si dedicano proprio per soddisfare un’aspettativa più o meno esplicita dei mariti, che tornando a casa dal lavoro hanno il piacere di trovare un nido lustro e ordinato.

È la conseguenza della condizione femminile dei decenni passati, per cui la cura della casa e dei figli era lo status “privilegiato” delle mogli. Quando tutto quello che ti hanno dato in gestione è una casa e dei figli da accudire, quelli diventeranno il tuo scopo, la tua ossessione. E all’interno di quella logica, il tuo essere donna con desideri individuali, pulsioni e velleità personali, diventa secondario se non addirittura inesistente. La dedizione al “dentro”, al nucleo famigliare, poteva trovare una giustificazione 50 anni fa, rivederlo nelle azioni delle donne di oggi che hanno un lavoro, mi fa pensare che la vera emancipazione deve avvenire in prima istanza dentro di sé. Non è (solo) quella data da un’opportunità esterna, ma losvincolarsi dai retaggi e dalle gabbie mentali che spesso ci siamo costruite con le nostre mani.

Sono tanti gli uomini che al giorno d’oggi partecipano attivamente sia alla cura dei figli che alla gestione della casa, eppure talvolta vengono rimbrottati dalle compagne su come svolgono quelle mansioni. Incarnare il cosiddetto angelo del focolare è ancora un archetipo difficile da abbandonare, servire una cena perfetta sopra una tavola imbandita con gusto ed eleganza, all’interno di un ambiente impeccabile, è qualcosa a cui molte donne aspirano. Ma quanto lavoro c’è dietro a un’apparente perfezione?

Quel tipo di effigie, l’insuperabile padrona di casa, porta con sé una sicurezza che dà riparo, una sorta di prigione dorata di cui si conoscono i confini. Il mondo al di fuori, vero tirocinio della vita, appare ostile. Al di là del cancello non si è più padrone del proprio stagno, non si controllano gli eventi e le dinamiche degli altri. Ma è anche vero che gli obiettivi conquistati nuotando in mare aperto, tra una gollata d’acqua salata e l’altra, sono quelli che aprono il cuore e ci segnano come individui. Molto più di tutti i soufflé venuti bene.

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