Gianluca Barbera ha avuto la capacità di rendere il romanzo storico insofferente persino ai limiti di un genere classico. È in libreria con il suo Magellano, edito da Castelvecchi, torna con un progetto di scrittura completamente nuovo e distante dall’ultimo romanzo per Aliberti, uscito lo scorso anno (La truffa come una delle belle arti). In entrambi i romanzi però emerge la cifra di questo autore, più che altro le sue punte acuminate di ironia che usa nella lingua, una lingua – consentitemi – perfetta.

Magellano

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Magellano a poche settimane dalla sua circolazione è già in classifica tra i libri più letti nelle grandi piattaforme, fra i best seller di narrativa e di avventura. E questo non è un fatto da marketing, no, il romanzo esce con una casa editrice medio piccola ma è arrivato immediatamente, malgrado le difficoltà di circuiti spesso inibiti dalle più ampie possibilità delle major. Questo non è dunque solo un affare che riguarda le cifre, la pubblicità, le classifiche (come un traguardo fine a se stesso); traduce piuttosto l’idea che lo scrittore – anche un apprezzato critico e saggista, emiliano, classe 1965 – sia riuscito a ricondurre l’importanza del linguaggio, l’attenzione alla parola, dentro la trama avventurosa e documentaria. Cioè dentro un romanzo storico: la ciclopica circumnavigazione del globo, in vista delle isole d’Oriente, guidata dallo sprezzante e coraggioso comandante portoghese e raccontata dal nocchiero sopravvissuto, Juan Sebastian del Cano detto el Perro (il cane), con qualche problema di giustizia da risolvere a Castiglia; timoniere di una delle caracche (la piccola e fragile Victoria) rediviva dopo tre anni di peripezie dall’uno all’altro canto del mondo e degli oceani.

Gianluca Barbera dimostra una dettagliata, straordinaria conoscenza del linguaggio nautico e marinaresco, delle vicende lontanissime che riguardarono la spedizione e (particolare interessante) si assume la responsabilità fino all’ultima pagina di rispettare il tempo della lingua, fino a un volgare ispanico medievale, con una sovranità indiscutibile (lui, il suo sguardo), con la potenza del fuoriclasse, che non teme di illuminare un luogo letterario o un altro. È un romanzo avvincente – certa critica lo ha definito “classico”- e che può piacere a tutti; chi vi scrive non ama il romanzo classico, eppure si è appassionata, perché Magellano non smette di raccontare l’uomo ed è questa la sua forza.

Potrebbe diventare finanche un classico per i ragazzi, per gli studenti, poiché la storia diventa umana, seduce: ed è la novità, l’esperimento di Barbera. Con una tale lingua vivace, dinamica, trasforma i dialoghi (ancora una volta diremmo perfetti, mai fuori tono) aggiungendo il vezzo irresistibile della sottile comicità. Lo scrittore? Il narratore di cose mai viste, mai udite. Così Gianluca viaggia attraverso rotte primitive, ci riferisce di uomini e barbari, nelle loro debolezze e virtù, in segreti arcaici, mai comprovati, eppur credibili; talmente veri da renderci scene di vita cruenta e dura, difficile da sopportare, pagine drammatiche si alternano alla leggerezza di altre o alla pienezza estatica di una paesaggio verso confini misteriosi.

Mari e oceani e terre infinite o splendidamente erte e solitarie con altri nomi sono testimoni di vicende ardimentose: Barbera ci trascina in questo vortice tempestoso e di quiete, di vento di ponente e bonaccia, dentro cui intercettiamo profumi e prospettive, inaudite anch’esse. Ecco lo scrittore raggiungere la vetta, dove la finzione letteraria non cede il passo e non soverchia nemmeno la bontà delle fonti. L’equilibrio è irrevocabile. Gianluca Barbera un po’ ci gioca su, ma per noi non tanto, quando afferma: “Vorrei diventare il nuovo Salgari”. Allora, leggetelo, e poi realizzate se la possibilità non sia così prossima a un tal desiderio.

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