La giornata sui mercati è cominciata come peggio non poteva andare: spread sopra i 300 punti, picchi di rendimenti nella curva a due anni (pessimo segnale, significa che c’è attesa di problemi molto gravi e molto imminenti), Borsa di Milano a picco.

Non bisogna sopravvalutare i segnali che arrivano dagli investitori. I cambiamenti tendono a essere bruschi verso il basso come verso l’alto. Ma non si può neanche sottovalutare la situazione.

Grazie agli azzardi di Matteo Salvini, all’insipienza del Movimento Cinque Stelle e alle mosse controproducenti di Sergio Mattarella, siamo sprofondati in una crisi di sistema molto più grave di qualunque ipotesi avventurosa avrebbe potuto sperimentare Paolo Savona al ministero del Tesoro.

Come dicono alcuni osservatori internazionali in queste ore, sui mercati c’è un’onda “one way”: si va in una direzione sola. Negativa. Perché non si vede cosa potrebbe interrompere la lunga fase di instabilità che si è aperta il 4 marzo ed è degenerata domenica 27 maggio con Giuseppe Conte forzato dal Quirinale a rinunciare al mandato di formare un governo.

Nel migliore dei casi – si fa per dire – avremo un’elezione in cui si confronterà un blocco sovranista Lega-M5S e un “fronte repubblicano”, come lo chiama Carlo Calenda (Pd), che innalza gli stendardi dell’Unione europea e del Quirinale. Auguri. In questo momento, pur con tutta la simpatia per la causa europeista, non me la sentirei di scommettere sulla vittoria del “fronte”.

L’alternativa è una riedizione delle coalizioni del 4 marzo, con circa gli stessi rapporti di forza e dunque l’ipotesi di un altro stallo o di un governo gialloverde che nascerà in aperta ostilità al capo dello Stato, diventato per Lega e Cinque Stelle in poche ore da garante sopra le parti un membro dell’establishment da rovesciare.

Non deve essere lo spread a decidere i governi. Ma chi pensa di governare ignorando la finanza è in malafede o un pericoloso ignorante. Con un debito da oltre 2000 miliardi di euro, l’Italia è dipendente dai creditori. E la solidità delle banche dipende, in gran parte, dalla solidità percepita del debito pubblico. Se vacilla la credibilità del debito pubblico, crolla anche quella delle banche, con le conseguenze prevedibili su finanziamenti a imprese e famiglie e con lo spettro di nuove crisi bancarie.

La speculazione è una scommessa al ribasso, una profezia di sventura. L’ultima mossa di Mattarella ha creato le condizioni perché questa profezia si auto-avveri: ora che l’instabilità è strutturale e senza una prevedibile fine, il rischio è che le speculazioni a breve termine sui titoli di Stato riduca il valore teorico dei Btp nei bilanci delle banche al punto da aprire dei buchi (virtuali ma pericolosi) nei loro bilanci tali da farle apparire fragili. Uno Stato sotto attacco non è in grado di rassicurare sulla solidità delle poche banche. La spirale rischia di portare a un declassamento del debito italiano, il taglio del rating, all’esclusione dei titoli italiani dagli acquisti della Bce e alla necessità per il governo di negoziare un pacchetto di interventi di emergenza con la Commissione europea e poi con la Bce.

Il momento è delicato. Non siamo la Grecia, ma possiamo diventarlo. Tutti i protagonisti della politica devono averlo ben presente. Non per abbandonare le loro idee, o per schierarsi tutti sotto la bandiera del Quirinale perché Mattarella non si può criticare (come ha fatto stamattina Ignazio Visco), ma perché dalle loro scelte dipende davvero il destino degli italiani.

Questa non è una baruffa da talk show, una polemichetta social a colpi di “like”. E’ una crisi di credibilità dell’Italia che dipende dalla crisi di credibilità della sua classe dirigente politica. Vecchia e nuova. Siete parte del problema, cari leader di partito. Tutti voi. Ora cominciate a risolverlo.

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