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Sicilia, chiesta l’archiviazione delle indagini sull’agguato contro Antoci

I fatti risalgono al 18 maggio del 2016 quando l'auto blindata di Antoci fu colpita da tre colpi di fucile nei boschi dei Nebrodi, tra Cesarò e San Fratello. A due anni dall’agguato, dunque, restano senza nome mandanti ed esecutori dell’attentato contro l’ex presidente del Parco dei Nebrodi
Sicilia, chiesta l’archiviazione delle indagini sull’agguato contro Antoci
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La procura di Messina ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sull’agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. I fatti risalgono al 18 maggio del 2016 quando l’auto blindata di Antoci fu colpita da tre colpi di fucile nei boschi dei Nebrodi, tra Cesarò e San Fratello. L’assalto fu sventato grazie all’arrivo poco dopo dell’auto su cui viaggiava il vicequestore della polizia Daniele Manganaro, dirigente del commissariato di Sant’Agata che ha risposto al fuoco, mettendo in fuga i sicari. A due anni dall’agguato, dunque, restano senza nome mandanti ed esecutori dell’attentato ad Antoci, che è poi diventato il responsabile della legalità del Pd. A dare notizia della richiesta d’archiviazione è la Gazzetta del Sud. Antoci era entrato in rotta di collisione con le famiglie mafiose dei Nebrodi – la cosiddetta “mafia dei pascolI” –  per l’applicazione di un protocollo di legalità che ha sottratto loro i terreni sui quali incassavano finanziamenti milionari dall’Unione europea.

Agli atti dell’inchiesta, firmata da ai sostituti della dda di Messina Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco, e controfirmata dal procuratore Maurizio De Lucia, ci sono le indagini della polizia anche sulle cinque cicche di sigarette smozzicate trovate nel luogo della sparatoria. Il dna estratto non ha avuto riscontri positivi con quello dei 14 indagati. Dalla perizia balistica allegata al fascicolo emerge che a sparare tre colpi di fucile calibro 12 caricato a palla unica sarebbe stata una sola persona dal terrapieno vicino al ciglio della strada. Le fucilate, è ipotizzato, non dovevano uccidere, ma servivano a fare fermare l’auto, per poi poter lanciare due bottiglie molotov, ritrovate intatte poco distante. L’intervento del commissario Manganaro avrebbe salvato loro la vita. Dalle indagini è emersa anche l’attenzione maniacale dei sospettati a stare attenti nel parlare al telefono e nel bonificare le auto da eventuali microspie.

“Altro che atto intimidatorio come alcuni avevano ventilato, guidando la macchina del fango: viene fuori invece l’agghiacciante volontà del commando di uccidere me e gli uomini della scorta attraverso un attentato efferato e crudele”, dice Antoci commentando la richiesta della procura.  “Pur trattandosi di una richiesta di archiviazione, che non chiude il caso, ma che lo mette al riparo da problemi tecnico-giuridici – aggiunge il responsabile Legalità del Pd – è venuta fuori, inequivocabilmente, la dinamica dei fatti. Aspetto di leggere meglio le motivazioni della richiesta di archiviazione, cercando di dare anche io il mio contributo, ma nel frattempo nessuno si illuda tra i mafiosi e i collusi che il pericolo è passato”.

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