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Processo No Tav, Cassazione sugli scontri a Chiomonte: “Appello da rifare per 27 attivisti. Riformulare pene per altri 7”

La Cassazione non ha confermato il verdetto emesso il 17 novembre 2016 dalla Corte d’appello di Torino: appello bis per molti imputati, pene da ridurre per alcuni e assoluzione per un militante. Annullati i risarcimenti in favore dei sindacati di polizia
Processo No Tav, Cassazione sugli scontri a Chiomonte: “Appello da rifare per 27 attivisti. Riformulare pene per altri 7”
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Il processo contro i manifestanti No Tav coinvolti negli scontri di Chiomonte del 2011 deve essere rifatto. Lo ha deciso la Cassazione rinviando nuovamente in appello la posizione di tutti i 35 imputati.

Per 27 di loro, il procedimento ripartirà da zero in secondo grado, mentre per altri 7 sono state confermate le responsabilità ma sono stati eliminati alcuni capi d’imputazione: dovrà quindi essere ricalcolata la condanna, che sarà ridotta. I giudici della Suprema corte hanno anche assolto un attivista, Luca Perottino, per “non aver commesso il fatto” e per un altro imputato hanno confermato la condanna ma annullato le statuizioni civili.

In sostanza, la Cassazione non ha confermato il verdetto emesso il 17 novembre 2016 dalla Corte d’appello di Torino. Rimodulati anche i risarcimenti: come richiesto dal procuratore generale sono stati annullati quelli in favore dei sindacati di polizia, confermati invece nei confronti dei ministeri della Difesa, dell’Economia e dell’Interno.

I giudici di secondo grado avevano negato agli imputati le attenuanti per aver agito per motivi di particolari valori morali e sociali. Cuore del dibattimento gli scontri che avvennero nella notte tra il 26 e il 27 giugno 2011 quando migliaia di sostenitori della causa No Tav  – non solo abitanti della Val di Susa – si radunarono intorno alla “Libera repubblica della Maddalena” di Chiomonte per opporsi all’arrivo delle ruspe e delle forze dell’ordine che dovevano prendere il controllo dell’area prima del 30 giugno, altrimenti l’Italia avrebbe perso una parte di finanziamenti.

Per il pg Francesco Saluzzo – che complessivamente formulò richieste di condanna per 140 anni – si trattò di una vera e propria “azione militare” e l’intervento delle forze dell’ordine fu “legittimo” e “non superò i limiti”. Dalla loro opposizione nacquero gli scontri con gli agenti, che si replicano in maniera più dura il 3 luglio quando, al termine di una marcia, dei gruppi si distaccano per andare ad “assediare” l’area del cantiere.

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