di Vittorio Esposito

Il 24 aprile è uscita la prima parte di Loro, il nuovo film di Paolo Sorrentino col consueto e sublime Toni Servillo nelle vesti dell’ex-premier ed ex-cavaliere Silvio Berlusconi.

Voglio rimarcare la particella “ex” – qualcosa che era e che non è più – perché credo sia il cuore essenziale di ogni racconto biografico. Di solito, si ama raccontare di un qualcosa che si è concluso, che è finito; non è un assioma, ma è ciò che sfuma il racconto dalla cronaca. Quando si narra una storia biografica, questa è compiutamente finita e si ambienta necessariamente nel passato. Un passato che è veramente andato via, sia cronologicamente ma soprattutto empaticamente. Ecco che nasce l’esigenza di volerne tirare le somme e di iscrivere quell’evento in un archivio storico.

Infatti, l’idea di narrare la vita di Berlusconi, comunque sia scaturita dalla mente del regista, deriva dalla sensazione di essere in una fase decisamente nuova, che ha del tutto chiuso con quella precedente. A mio avviso, prima ancora di rivelare il proprio contenuto, già soltanto con il suo intento narrativo, questa pellicola sancisce il riconoscimento nell’immaginario italiano (e non solo) della fine di tal personaggio, che fa oramai parte della storia passata di questo Paese.

Il film già dai primi trailer sussurrava malinconicamente: “Il re è caduto! Eccolo, tristemente nudo e vuoto, privo dei suoi inganni fantasmagorici, da solo con ciò che rimane delle sue gesta. Ora lo si vede per quello che è; ora lo si può raccontare…”. Per dirla con parole care a Walter Benjamin, Sorrentino ha intercettato una “dialettica in condizione di arresto” – in cui il normale progredire del tempo si ferma e diviene passato – permettendo così a noi di mettere un punto a questa storia e, finalmente, di andare avanti.

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