Lunedì 9 aprile Facebook ci farà sapere chi di noi è stato coinvolto nel socialgate scatenato da Cambridge Analytica. La società di Mark Zuckerberg annuncia con un blog post il lancio di una funzionalità ad hoc per saperlo mentre in Italia, dove i profili a rischio sarebbero oltre 200mila, si muovono in garanti di privacy e concorrenza. Lo strumento sarà in in testa al newsfeed e consentirà anche di vedere quali app utilizziamo, le informazioni che generano e condividono, e decidere se usarle o cancellarle.

Una evidente mossa difensiva prima che Zuckerberg stesso si pronunci sull’accaduto davanti al Congresso Usa il giorno dopo, martedì 10 aprile. Non solo. La società ha anche candidamente ammesso che tutti i suoi 2,2 miliardi di utenti dovrebbero supporre che altri “malicious actors”, hacker criminali e stati canaglia, abbiano compromesso le loro informazioni pubbliche sfruttando gli strumenti di “Ricerca” della piattaforma per scoprirne l’identità e raccogliere informazioni ancora più dettagliate sulla maggior parte di loro. La vicenda della raccolta illegale dei dati personali di 50 milioni di utenti di Facebook, poi diventati 87 milioni e finiti a Cambridge Analytica, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg.

La società ha però dichiarato di aver disattivato la funzione che consente a chiunque di trovare altri utenti inserendo numeri di telefono o indirizzi e-mail nello strumento di ricerca di Facebook per facilitare l’individuazione di “amici” con lo stesso nome o scritti in un alfabeto difficile da digitare. Il rischio, secondo il social network è che, impossessatisi nel “Dark Web“, delle informazioni personali sottratte agli utenti nei databreach degli ultimi anni – i più famosi sono quelli di DropBox, LinkedIn, Yahoo!, Adobe e Youporn – i criminali abbiano usato software automatici per inserire indirizzi e-mail e numeri di telefono nella casella di ricerca per scoprire i nomi completi degli interessati, insieme ad amicizie, foto del profilo e città natale, per poi rivolgersi specificamente a loro utilizzando tecniche di ingegneria sociale o altri attacchi informatici.

L’autore del post, Mike Schroepfer, Chief Technology Officer di Facebook, ha detto: “Considerata la portata e la raffinatezza dell’attività che abbiamo osservato, crediamo che la maggior parte dei profili Facebook potrebbe essere stata ottenuta (scraped) in questo modo”.

Perciò adesso assume un nuovo significato lo studio dell’Università dell’Ohio, pubblicato dal Washington Post, secondo cui sono state le fake news mirate a specifici individui e territori a influenzare le presidenziali americane ma in maniera diversa da quanto affermato finora: riducendo cioè la platea dei potenziali elettori democratici negli swing states e non modificando invece le intenzioni di voto di chi già aveva deciso di votare Trump. Sarebbe successo grazie a tre bufale ritenute parzialmente vere dagli ex elettori di Obama e potenziali elettori delusi dalla Clinton: l’endorsement del Papa a Trump, la “grave” malattia di Hillary Clinton e la sua decisione di vendere armi all’Isis.

Anche se ce ne siamo dimenticati, la strategia elettorale che potrebbe aver visto collaborare i russi della fattoria dei troll, l’Internet Research Agency, con Cambridge Analytica, funziona proprio cosi: prima produco delle bufale per polarizzare l’orientamento dell’elettorato e poi gli propongo un messaggio politico che l’elettore è incapace di rifiutare. Il segreto del microtargeting è questo: news georeferenziate e messaggi personalizzati ripetuti per rinforzare le abitudini di acquisto, anche quando da “comprare” c’è un candidato invece dello shampoo.

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