Il Parlamento europeo ha chiesto alla Turchia di ritirare le sue truppe dalla Siria, esprimendo “grave preoccupazione sulla spirale di violenza” contro l’enclave curdo-siriana di Afrin, in corso da 55 giorni. Gli eurodeputati “chiedono al governo turco di ritirare le sue truppe e svolgere un ruolo costruttivo nel conflitto”, si legge nella risoluzione approvata a grande maggioranza dall’assemblea di Strasburgo. Dura la replica del presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “Qualsiasi cosa dicano ci entra da un orecchio ed esce dall’altro. Non vi esaltate. Noi non lasceremo (la Siria) finché il nostro compito non sarà concluso. Dovreste saperlo”.

Intanto Amnesty International ha lanciato un appello alla comunità internazionale affinché si assuma le proprie responsabilità e agisca con urgenza per porre fine alla sofferenza di milioni di siriani e al sanguinoso assalto ai civili assediati nella Ghouta orientale e ad Afrin. “Il catastrofico fallimento della comunità internazionale ha consentito alle parti in conflitto, soprattutto al governo siriano, di compiere crimini di guerra e contro l’umanità nella completa impunità, spesso con l’assistenza di poteri esterni, particolarmente quella della Russia” ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medioriente di Amnesty International in occasione del settimo anniversario dall’inizio della guerra in Siria. L’Osservatorio siriano per i diritti umani  fa sapere che 30mila civili sono scappati nelle ultime ore dal nordovest del Paese per sfuggire ai bombardamenti della Turchia: si scappa soprattutto verso Nobol e Zahra, in una zona controllata dal regime di Bashar Assad. A questi numeri si aggiungono quelli diffusi dalla Russia: “Al momento quasi 11mila persone hanno lasciato Ghouta Est e la gente continua a partire” ha fatto sapere il portavoce del Centro russo per la riconciliazione in Siria Vladimir Zolotukhin. “Le forze del governo siriano assistite dal Centro per la riconciliazione le stanno ospitando nei centri di accoglienza temporanea”, ha detto citato da Interfax.

“Non c’è la volontà” da parte della comunità internazionale “di fermare lo sterminio nella Ghouta orientale”, nel Rif di Damasco, assediata da 5 anni e dove da settimane si assiste a una incessante campagna militare che ha già fatto migliaia di morti e feriti. Lo ha dichiarato il presidente ad interim della Coalizione nazionale delle forze della rivoluzione e dell’opposizione siriana, Abdul Rahman Mustafa. Intanto la regione di Afrin, enclave curda nel nord-ovest della Siria sotto attacco di Ankara da 55 giorni, è sotto assedio da quattro giorni. Secondo Ankara, “il cerchio attorno ai terroristi è stato completamente stretto” e la città “sarà presa in un breve periodo di tempo”. La Mezzaluna Rossa Curda ha fatto sapere che il 14 marzo, nel corso dei bombardamenti turchi, è stato colpito l’ospedale.

In un’intervista all’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu, Mustafa ha ricordato che i civili siriani, in tutte le aree del Paese, “versano nelle peggiori condizioni umanitarie e la loro tragedia viene trasmessa da tutti i media e si svolge sotto il occhi del mondo”. Eppure, la comunità internazionale “non ha né i mezzi e né la volontà per fermare lo sterminio che il regime (del presidente siriano Bashar al-Assad, ndr) sta perpetrando” da 7 anni a questa parte. Quanto alla situazione ad Afrin, dove dal 20 gennaio è in corso un’operazione dell’esercito turco e dei ribelli siriani alleati contro i curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg), Mustafa ha detto che “come in qualsiasi altra regione liberata dal terrorismo, la popolazione tornerà in città, che sarà gestita da consigli locali eletti”. Per Mustafa, il Partito dell’Unione democratica curda, cui fanno capo le milizie Ypg, “è un partito totalitario e ideologico, chiunque non la pensi come lui è un nemico e non rappresenta alcun gruppo etnico preciso”, così come “la popolazione di Afrin gli è sottomessa”.

Il portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan, parlando alla tv di Stato Trt, ha fatto sapere che l’esercito turco e le milizie arabe sue alleate hanno posto sotto il loro controllo “oltre il 70%” della regione di Afrin, dove sono bloccati centinaia di migliaia di civili. Secondo Ankara, “il cerchio attorno ai terroristi è stato completamente stretto” e la città “sarà presa in un breve periodo di tempo”. Stando al bilancio dello Stato Maggiore turco, sono almeno 3.524 i “terroristi neutralizzati” – ovvero uccisi o catturati – nella regione di Afrin dal 20 gennaio. Per gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, dall’avvio della campagna militare si contano almeno 227 civili morti, compresi 36 bambini. Ankara nega che i civili siano nel mirino dell’offensiva. “La città di Afrin è isolata, non riusciamo a comunicare con gli operatori locali”, denuncia dal canto suo la Mezzaluna Rossa. “Non c’è corrente elettrica e le fonti di acqua potabile sono state avvelenate. Stanno continuando i bombardamenti, ma ancora le milizie di terra non sono entrate nella città. Non siamo ancora in grado di fornire il numero preciso dei morti e feriti, perché moltissimi corpi sono intrappolati sotto alle macerie. Al momento il numero di vittime accertate è di 100 morti e oltre 200 feriti, in prevalenza donne e bambini.”.

A ciò si aggiunge quanto emerge nell’ultimo rapporto della Commissione di inchiesta indipendente internazionale per la Siria che, con un’inchiesta sostenuta dalle Nazioni Unite, ha denunciato che le truppe siriane e le milizie legate al governo di damasco hanno usato stupro e violenza sessuale in modo sistematico contro i civili.  crimini contro l’umanità. Anche i ribelli hanno commesso violazioni analoghe, che ammontano a crimini di guerra, ma in tasso “considerevolmente meno diffuso rispetto a come lo stupro è stato usato da forze governative e milizie alleate”, recita il documento.

 

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