I testi raccolti in Ode plutonia. Poesie 1977-1980, di Allen Ginsberg (edizione curata da Leopoldo Carra, traduzione di Leopoldo Carra e Luca Fontana, Il Saggiatore), sono tra i miei preferiti tra quelli della sconfinata produzione dell’autore di Newark. Fin da subito, con Blues del soffione, è visibile una maturità stilistica che comunque mantiene la visionarietà e la capacità iperrealista dei lavori precedenti.

1977 – anno incandescente per l’Occidente, e non solo, orfano del Vietnam e della Beatlesmania, gettato verso gli anni Ottanta con addosso il nefasto lezzo del disastro ecologico.

È di questo che parlano i versi di Allen Ginsberg in questo libro: della minaccia nucleare e dell’inquinamento globale. La stessa poesia che dà il titolo alla raccolta è frutto della partecipazione attiva dell’autore alla manifestazione svoltasi in Colorado presso gli impianti tossici della Rockwell Corporation Nuclear Facility. C’è poi Giorni di Nagasaki, scritta mentre correva l’anniversario della distruzione della città giapponese a causa della bomba al plutonio sganciata dagli americani; Ballata dei veleni, o Lavori di casa, che vomitano le angosce planetarie sviluppatesi a seguito della distruzione di Madre Natura.

Ginsberg, come già fatto in passato, capisce il tempo presente: meno di un anno dopo la sua meditazione pacifista fuori dalla Rockwell per cercare di fermare un carico di rifiuti fissili, in compagnia di Peter Orlosky e degli amici della Forza della Verità, i musicisti attivisti del Musicians united for Safe energy (Muse) organizzano una serie di cinque eventi (battezzati No Nukes) al Madison square garden per contestare l’utilizzo dell’energia nucleare. Sul palco Jackson Browne, Crosby, Stills & Nash, Bruce Springsteen, James Taylor, Carly Simon, The Doobie Brothers, Jesse Colin Young, Gil Scott-Heron e Tom Petty.

Aria del Campidoglio, riflessione amara maturata dopo i costanti viaggi a Cuba e nell’Europa dell’Est, mette ormai sullo stesso piano capitalismo e socialismo reale, mancando ormai, nell’universo della Sinistra, quello spirito autenticamente rivoluzionario e dirompente, sostituito da una gretta burocrazia repressiva. Ginsberg, cresciuto a jazz e blues, apre al punk: proprio con The Clash nel 1981 improvvisò sul palco del Bonds International Casino questa poesia-canzone.

Ma la curiosità e il contatto con la nuova cultura giovanile non si ferma qui. Come riportato da Leopoldo Carra nell’introduzione: “Non disdegnò un’apertura verso i fenomeni della new wave e soprattutto del punk, come testimoniano Punk Rock tuo mio Gran Piagnucolone e Ai punk di Dawlish. Se forse non condivideva l’estetica di certi suoni un po’ martellanti, Ginsberg in Joe Strummer e compagni, come nelle band americane che si esibivano nei locali della Bowery, ritrova la stessa energia trasgressiva, la stessa ribellione che avevano animato i beats”.

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