“Cos’è un disco di viaggio”?

Non si può dare risposta facile a questa domanda. Forse perché non esiste un vero e proprio genere ma solo una categoria dell’anima, una playlist ideale in cui si radunano quel pugno di canzoni che fanno da colonna sonora al tuo viaggio, fisico o metafisico, vicino o lontano che esso sia.

Nella mia personale compilation c’è l’American Idiot dei Green Day, ovvero la parabola di Jimmy, il Gesù delle periferie che fugge dai desolati suburbi e dal way of life a stelle e strisce. C’è la colonna sonora di Into the wild, mezzora di note e parole con cui Eddie Vedder celebra il vagabondare dell’escursionista Christopher McCandless nelle terre selvagge dell’Alaska, seguendo la gaussiana della sua esistenza dalla libertà alla morte. Ci sono anche tracce singole come Despair in the departure launge – diamante grezzo tratto dall’EP Who the Fuck Are Arctic Monkeys? – inno scritto da un ancora brufoloso Alex Turner per dar voce alla disperazione di aver incontrato in aeroporto una persona che non vedrà mai più.

Un nuovo album si è aggiunto al mio personale fagotto di canzoni da ascoltare on the road. Si chiama Miranda! – terzogenito dei bolognesi Altre di B – tributo al libro omonimo scritto da Quirico Filopanti, che nel 1858 illustrò per la prima volta la teoria dei fusi orari.

Come tutti i dischi, anche Miranda! ha richiesto diversi ascolti per essere apprezzato, svariati play prima che i riff, i sintetizzatori e la voce dei regaz cominciassero a tracciare un solco sicuro nelle orecchie. Le 10 tracce di Miranda! sono esse stesse la trasposizione di un viaggio, quello che dalla Bolognina ti porta a suonare allo Sziget e ti fa sognare la vita da rockstar; un percorso pieno di curve, fatto di macchine scomode, voli in economy, motel con letti senza testiera, cibo spazzatura e farcito di dubbi: sfuggire alla dannata morning commute dove ti porta? E fino a quando?

Miranda! è dunque la testimonianza di una crescita, artistica e di vita. È la messa in musica delle emozioni accumulate in un tour negli Stati Uniti (Potwisha, Lax), una riflessione sulle attese negli scali (Heathrow, la mia preferita), un manifesto sulla stupidità dei confini e sulla bellezza del mondo rappresentato in foto d’artista (Salgado). Miranda! è tutto questo e anche altro. È un disco con sonorità internazionali, cantato in inglese (certo, poi ci sono quelli che vengono dai talent, cantano con un inglese ingrassato dall’italiano e si atteggiano a divi, ma questa è un’altra storia). È, ancora, un tentativo sincero e ispirato di condividere il tuo sogno di vita nel mondo con il mondo perché, come ha lasciato scritto proprio McCandless, la felicità è vera soltanto se condivisa.

In un momento storico in cui l’indie rock italiano si è trasformato in hit pop da prima serata Rai e il rap si è edulcorato con ritornelli a uso e consumo di bambinette Tumblr, questo indie rock sincero, che suona alla grande anche dal vivo, è quello che serve per riacquistare un po’ di fiducia nella musica nostrana. In attesa che dai palchi dei club si sbarchi ai palazzetti.

Articolo Precedente

Fabri Fibra, il suo Mr. Simpatia è disco d’oro dopo 14 anni: “Quell’album ha cambiato la storia del rap italiano, non ci sono cazzi”

next
Articolo Successivo

Eric Clapton – Life in 12 bars, solo per tre giorni il documentario sulla vita dell’unico artista che ha ricevuto 18 Grammy

next