Viviamo giorni difficili. Tra proclami elettorali spietati, bacheche social invase da mostruosi commenti razzisti, profughi visti come invasori e pistoleri emuli del Ku Klux Klan, il nostro paese sembra avere del tutto smarrito la sua vocazione all’accoglienza. Perfino nei più rinomati licei della capitale si annida l’orrendo virus dell’esclusione, con documenti di autovalutazione nei quali l’assenza di poveri, immigrati o portatori di handicap viene dipinta come un vanto. Gustose esche per famiglie bene, preoccupate di assicurare ai propri figli il miglior futuro possibile, tra pari, omologati e firmatissimi normali. E così si prepara la malta per i muri del domani, sempre più lunghi, sempre più alti.

Ecco quindi che, come un balsamo per l’anima, arriva la testimonianza di un padre che, senza nessuna ipocrisia, ci racconta la sua esperienza di vita, difficile, meravigliosa e infine accogliente.

L’uscita di Non è te che aspettavo, graphic novel edita da Bao Publishng, racconta infatti la vicenda autobiografica dell’autore Fabien Toulmé, un ingegnere francese amante dei viaggi e dei luoghi esotici, che si trasferisce in Brasile e lì mette su famiglia. L’arrivo della seconda figlia, dopo anni di gioie e traslochi, spinge Fabien a optare per un ritorno in Francia e qui, dopo numerose visite di controllo, durante le quali tutto procede normalmente, avviene il parto. Ma, alla vista della bambina, Fabien vede tutte le ansie e le preoccupazioni per le quali si era sentito paranoico divenire realtà. La piccola Julia è infatti affetta dalla trisomia 21, è cioè una bambina portatrice della sindrome di down. E, come nei più temuti incubi dei compaesani Asterix e Obelix, a Fabien cade il cielo sulla testa.

Per raccontare questa storia l’autore si reinventa fumettista e la trasforma in un percorso condivisibile e di toccante formazione che viene raccontato, con colore e ironia, senza nessuna forma di ipocrisia. Fabien infatti attraversa molte fasi, diverse e difficili, prima di riuscire ad accettare la condizione di sua figlia e il relativo impatto sulla propria esistenza. Si deprime, si dispera, pensa negativamente al futuro, si sente compatito da chi lo circonda, si vergogna, odia i genitori con figli senza problemi… Ripensa al suo desiderio di viaggiare per il mondo, che lo aveva portato a lavorare a Guadalupa, in Guyana, nel Benin. Uno stile di vita che teme gli sarà precluso per sempre. E piange tantissimo. Tutto questo viene raccontato sinceramente, senza il timore dei giudizi da parte del pubblico. Perché è tutto assolutamente franco, catartico e comprensibile. Il contrasto con la serenità con la quale la mamma di Julia riesce ad accettare quasi da subito la situazione inaspettata infierisce in un certo senso sul protagonista, che arriva ad odiarsi anche per questo. Ma non può farci niente. E quando sua sorella cerca di confortarlo riferendogli che i trisomici vengono definiti bambini baci per la loro dolcezza spontanea, lui ammette che avrebbe preferito “un bambino normale che dà tanti baci”. E poi la rabbia, tanta rabbia verso tutto e verso tutti. Verso i medici, la moglie, ma soprattutto verso se stesso, per la totale incapacità di amare la propria bambina. Arriva perfino a pensare che, se la piccola Julia non sopravvivesse a un intervento chirurgico, non sarebbe poi una tragedia assoluta. Si sente un mostro. Solo contro tutti.

Ma poi Fabien scopre che non è così, perché non resta solo, e qualcuno è lì per aiutarlo. Si confronta con medici, esperti, psicologi e soprattutto genitori nella medesima situazione, in quello che nel racconto viene definito Handicapland, con l’ironia mai grottesca che accompagna ogni pagina di questo piccolo capolavoro. Ritrova lentamente il sorriso e infine, quando arriva il momento dell’operazione, si scopre preoccupato, e molto. E finalmente scopre l’amore verso sua figlia. E la fiducia in un futuro felice.

Ho letto tantissimi fumetti nella mia vita. Ma, dopo l’incontro giovanile con Buck alias Pluto e il Richiamo della Foresta, non credo di essermi mai più commosso. Fino alla fine di questo inno alla vita, che vi suggerisco di leggere e consigliare, soprattutto in quelle scuole di cui sopra, per ricordare a presidi, genitori e insegnanti l’importanza del sostegno, per genitori e figli. Per una società che comprenda, aiuti e coinvolga tutti.

Nella speranza che, in questa ora che sembra farsi sempre più scura, qualcuno possa riscoprirvi il piacere, o l’opportunità, di essere umani.

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