Nella partita elettorale, assi nella manica da tavolo verde quando al verde si rischia di restare, spunta una carta scolorita. La gioca Andrea Orlando (Pd): “100.000 assunzioni nella pubblica amministrazione del Sud Italia”.

Un rilancio sufficiente a ribadire che per il Sud non c’è mai stato un piano diverso dal farne un enorme ufficio di collocamento. Pazienza se la Sicilia ha tanti dirigenti quanto quelli di quindici Regioni, tanti dipendenti quanto cinque Lombardie. Allevato a pane e posto fisso, per decenni, il Mezzogiorno non è cresciuto, eterno bamboccio a carico di qualcun altro. I concorsi pubblici hanno annichilito la mentalità imprenditoriale mentre l’economia si è appesa alla pretesa di una sistemazione a vita, tra pause sigaretta e burocrazia stagnante.

Così oggi questo Sud si ritrova come un giovane dal curriculum scarno nell’Europa business men. Ma non è più mammone. È voglioso, è colto, è curioso. Ha bisogno di una guida, non di un benefattore; ha bisogno di nutrirsi di innovazione, non di assistenzialismo. Invece, dal 2001 al 2016, l’Italia ha cambiato sette governi ma non la ricetta, tritando le porzioni per il Mezzogiorno da 25,7 miliardi di investimenti per infrastrutture a 13,4.

L’illegalità, che pare banchettare solo al Sud – anche se le inchieste dicono il contrario – è diventata il pretesto per lasciare indietro chi cammina più piano. Ma qui giù, e ve lo assicuro, l’illegalità è sempre meno tollerata, stanchi di prepotenti palle al piede.

Le vere catene alle caviglie del Meridione non sono di ferro ma prive di ferro. E di cemento, microchip, fibra ottica, pannelli fotovoltaici e materiali ecocompatibili. Una cronica, insopportabile arretratezza infrastrutturale e tecnologica di cui, all’infuori della “clausola Ciampi” invocata da Liberi e Uguali, non c’è traccia tra le promesse che adesso chiamano “impegni”. A dirla tutta, nei programmi elettorali, per il Sud non c’è neanche una parola, come mai era accaduto dal Dopoguerra. Magari è un buon segno: finalmente si guarda al Meridione come Italia qualunque e non più Magna Grecia. O forse hanno definitivamente rinunciato a puntarci sopra.
Poco male: al gioco delle tre carte ci hanno sempre fregato.

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