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‘Ho scoperto di essere morto’, sesso, politica e rabbia nel libro di J.P. Cuenca

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Non potevo iniziare il mese con una lettura migliore: Ho scoperto di essere morto, del brasiliano J.P. Cuenca (traduzione di Eloisa Del Giudice; Miraggi Edizioni) è un testo splendido. Se dovessi riassumerlo scriverei: rabbia, allucinazioni, invettive politiche, bisogno triviale di sesso, abbrutimento intellettuale, topografia calviniana di Rio de Janeiro, echi di polizie segrete d’altri tempi, alcolizzati carioca col morbo di Kafka, radical chic abbronzati e ridicolizzati.

Questo tra le righe. La trama ufficiale narra di J.P. Cuenca, autore e omonimo dell’autore, che dopo una lite con i vicini viene a scoprire dalla polizia che esiste un verbale che notifica il suo decesso. Per risolvere questo mistero il protagonista si muove attraverso Rio de Janeiro, tra macerie di quella che la città fu, nuove costruzioni in vista delle Olimpiadi, salotti e feste di giornalisti, teatranti, attrici di soap opera, favelas guardiane di ogni orizzonte, arroccate sulle colline. Procedendo nella narrazione ci si accorge che il mistero diventa sempre più fitto, ci si perde di frequente, insieme all’io narrante, in quella che potrebbe essere definita l’angoscia di ogni scrittore: il mostro della pagina bianca.

Personaggio fittizio e reale, il J.P. Cuenca che accompagna il lettore attraverso i cantieri aperti della metropoli carioca, è un essere vivo, diretto e feroce. Anche verso la storia del proprio Paese: “’Questo posto è un cazzo di Poltergeist. Ogni volta che c’è un cantiere qui nel Centro, e ne avete aperti un sacco a causa delle Olimpiadi, si trovano spessissimo cadaveri e ossa spezzate, come nel Cimitero dei Nuovi Neri nella zona del porto. Schiavi. Ma voi nascondete tutto di nuovo. Come se nessuno avesse visto niente’. A dire il vero, nessuno stava a guardare”.

Memorabili le pagine dedicate ai party degli intellettuali, omaggio velato al Gatsby fitzgeraldiano, con starlette che scaldano sushi nella propria vagina prima di offrirli agli ospiti, pavidi redattori che distribuiscono anfetaminico Mdma, orge, ballerini di samba, letterati disperati. Un mondo artistico allo sfascio: “Il progresso dell’umanità deve poco ai romanzi (…) Hitler, fanatico tra le altre cose di Don Chisciotte e Robinson Crusoe, leggeva un libro a sera e aveva una biblioteca personale di decine di migliaia di volumi, superato tuttavia da quella di un altro lettore compulsivo, Josip Stalin (…) la letteratura muore un poco ogni volta che qualcuno alza la voce per difenderla su uno di quei palchi costruiti perché si creda ancora nella sua esistenza. Lasciarla morire mi sembrava un’ottima idea per salvarla da se stessa”.

Pamphlet urbano, autofiction, noir, confessione allucinata e allucinogena, Ho scoperto di essere morto, mi ha ricordato, per certi aspetti, le opere di un altro sudamericano allergico al realismo magico: Efraim Medina Reyes, penso soprattutto a C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo e Tecniche di masturbazione tra Batman e Robin.

E anche il libro, bellissimo, di un altro autore straordinario: Baku, ultimi giorni, di Olivier Rolin, dove il protagonista, dopo anni dalla sua folle e macabra sentenza, torna nella camera 1123 dell’hotel Absheron di Baku per scoprire se morirà come aveva previsto.

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