I libri scolastici di storia della musica sono spesso colmi di inesattezze dovute per lo più a una stringente esigenza di semplificazione invero generatrice di vere e proprie distorsioni storico-musicali. Tra le tante che possiamo letteralmente pescare dal mazzo vi è quella relativa alla nascita del canto gregoriano, a proposito della quale diversi fra i libri in uso nelle scuole secondarie di primo grado (le vecchie medie) trasformano una leggenda in fatto storico realmente accaduto.

Il celebre e millenario canto ecclesiastico sarebbe infatti nato, come lo stesso nome suggerirebbe e diversi testi scolastici riferiscono, dall’opera, in prima persona, del 64esimo vescovo di Roma, papa Gregorio I storicamente noto come Gregorio Magno (540 ca.–604), il quale, raccogliendo i canti in un unico libro (l’Antiphonarium Cento), avrebbe così realizzato il corpus originario dal quale avrebbero attinto nei successivi secoli intere schiere di cantores. Ebbene, come sappiamo, ma come ancora non sembra essere ampiamente noto, questa che diversi libri scolastici trasformano in un fatto storico realmente accaduto altro non è che una specie di leggenda sorta per precisi scopi d’ordine principalmente politico.

Andiamo dunque a conoscere la vera storia della nascita del canto gregoriano: “Studi recenti – leggiamo nel primo volume della Storia della Musica di Elvidio Surian – hanno però ridimensionato l’influsso e il ruolo che Gregorio svolse in campo musicale (…) le sue doti e attività musicali non sono comunque comprovate da alcuna documentazione diretta”. È dunque buffo (o grottesco, dipende dai punti di vista), continuare a leggere, in libri che dovrebbero essere aggiornati più di altri, gesta e opere che non trovano invero alcun riscontro documentale. Insomma, quella di un papa compilatore di canti liturgici e canonizzatore di un vero e proprio rito musicale, sebbene possa essere una storia suggestiva, non può che assumere, sulla scorta di studi documentali, il profilo di una favola: “Secondo l’opinione di alcuni studiosi autorevoli – leggiamo ancora nel Surian – è probabile che il canto gregoriano sia nato nei territori dell’Impero Franco nei secoli VIII-IX dall’incontro del canto romano con le tradizioni del repertorio gallicano. Ciò avvenne (…) a mezzo dello scambio di cantori tra Roma e le città franche, anzitutto sotto il regno (751-768) di Pipino il Breve e poi del suo successore Carlo Magno (742-814, re dal 768)”.

La leggenda, sorta proprio nel periodo carolingio, narra di una colomba, incarnazione dello Spirito Santo, in procinto di dettare il canto liturgico a papa Gregorio, che a sua volta, ma opportunamente coperto dietro una tenda onde non svelare la divina dettatura, lo riferisce a un monaco intento a trascriverlo. Esigenza, quella della leggendaria origine del supremo canto ecclesiastico, sorta con ogni buona probabilità al fine di conferire la massima autorevolezza possibile a quello che i carolingi individuarono come uno degli strumenti prediletti di unificazione ecclesiastica, culturale e dunque politica di tutte le aree dell’impero: “Inaugurato a Roma da Carlo Magno – leggiamo sempre nel Surian – incoronato imperatore da papa Leone III il 25 dicembre 800, il Sacro Romano Impero doveva divenire il successore legittimo del glorioso Impero Romano. La legislazione dei carolingi fu destinata a favorire il processo di unificazione ecclesiastica, a promuovere determinati usi liturgici e l’attività delle scuole. Fatta eccezione per il rito ambrosiano, le differenti liturgie occidentali latine furono in parte soppresse e in parte assimilate in favore di quella romana-carolingia”.

Un rito, quello ambrosiano, ancora oggi praticato a Milano e la cui sopravvivenza, come leggiamo nella Storia della Musica di Claudio Casini, costò non poca fatica: “Quanto alla sopravvivenza del rito ambrosiano, tuttora praticato a Milano, essa fu dovuta ad una strenua difesa promossa dalle gerarchie locali contro i tentativi di introdurre il gregoriano: una difesa che ebbe luogo ai tempi di Carlo Magno, di Arrigo VII, di Pio V e che ha annoverato fra i suoi propugnatori il cardinale Federigo Borromeo nel sec. XVII, e nel nostro secolo il cardinale Ildefonso Schuster”.

Tornando, in conclusione, al canto gregoriano, possiamo dunque affermare che il fatto di far risalire il nome del canto liturgico della chiesa romana alla figura di papa Gregorio non ebbe altra funzione, in una lettura moderna e attualizzata, che quella del migliore degli spot possibili: “Il riferimento alla personalità del pontefice san Gregorio Magno – recita ancora Casini – riflette la vocazione del canto gregoriano all’univocità: ne sottolinea l’appartenenza ad una liturgia universale, cattolica appunto (…) La figura di san Gregorio Magno è simbolica”.

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