“Lasciata da sola quando avevo bisogno di luce, caduta in ginocchio, ho pianto per la mia vita…”. Forse non a caso Ildikò Enyedi ha scelto le note di What he wrote, la dolcissima ballata di Laura Marling, per raccontare meglio la trama del suo ultimo film Corpo e Anima (Testrol és a lélekrol), premiato con l’Orso d’oro all’ultima edizione del Festival Internazionale di Berlino.

Dopo un lungo silenzio, la regista ungherese torna al cinema con una storia d’amore, anzi con la costruzione di un amore, apparentemente irrealizzabile, ma in realtà molto semplice e umano. Endre e Maria (interpretati in modo perfetto da Alexandra Borbely e Geza Morcsànyi) danno vita ad un lento, graduale e complicato avvicinamento amoroso, cercando di superare blocchi emotivi e trappole della goffaggine, tipiche delle persone sole e un po’ chiuse verso il mondo. La scena iniziale del raggio di sole che fa arretrare la protagonista per nascondersi nell’ombra è rivelatrice del carattere problematico di Maria.

Non voglio svelare troppo la tessitura del film, per quanto, fin da subito, si comprenda la scelta della regista di sviluppare la trama su due piani paralleli. Da una parte c’è la vita reale, con il posto in cui lavorano i protagonisti: un mattatoio freddo e algido, squarciato solo dal rosso del sangue delle carni lavorate, dove Endre e Maria si trovano distanti, almeno inizialmente. A questo scenario si contrappone la dimensione onirica di due cervi in un bosco silenzioso e innevato, che si sfiorano, si annusano, forse si accarezzano.

E’ un cinema di dettagli quello della Enyedi. Immagini per descrivere la solitudine dei personaggi in una Budapest che appena si intravede. Cene povere, case spoglie e asettiche. Briciole seminate sul tavolo, prontamente ripulito in modo compulsivo. Sguardi rubati. Scenari alla Kaurismaki. E momenti di grande poesia e tenerezza. Scoprire di potersi incontrare nei sogni, ogni notte. Come i due cervi nella neve.

Va detto che, malgrado alcune scene dolorose, il film sa sprigionare anche momenti di sottile ironia e sorprendente comicità. Merito della regista che esplora l’animo umano con intelligente profondità, senza rinunciare ad alcuni siparietti scherzosi e surreali con dei toni leggeri da commedia. E questo stile, asciutto ed elegante, ci consegna un’opera che coinvolge la sensibilità dello spettatore. Può un amore riconosciuto a livello animico e spirituale diventare anche corporeo? Possono un uomo e una donna smarrirsi in un sogno e poi incontrarsi nella vita reale?

Sono alcune delle domande che questo film, intimista e delicato, pone seguendo una strada sottotraccia che porterà la storia verso un finale sofferto e liberatorio. La fotografia impeccabile di Màtè Herbai incornicia con eleganza le scene del lungometraggio che sarà candidato agli Oscar del 2018 nella categoria miglior film in lingua straniera.

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