Hanno falsificato i certificati di resistenza e durata di alcuni prodotti, che hanno poi spedito come se nulla fosse ad almeno 200 aziende, giapponesi e non. Nell’elenco compaiono costruttori di aerei, automobili e treni, che a loro volta hanno esportato in altri Paesi i prodotti finali.

Dopo la Germania, costretta a ritirare dal mercato milioni di vetture in seguito al cosiddetto Dieselgate, il nuovo scandalo che vede le aziende truccare i dati per sottostare alle normative nazionali e internazionali sta travolgendo il Giappone. Al centro delle polemiche c’è la Kobe Steel, il terzo produttore di acciaio del Paese. Il gruppo ha ammesso che, a insaputa degli attuali amministratori, il personale ha falsificato i dati relativi agli standard di resistenza e durata di alcuni prodotti in polvere di ferro, alluminio e rame, per oltre 11 tonnellate di materiale. La stessa Kobe ha fatto sapere che tra i clienti coinvolti, che potrebbero cioè avere acquistato e impiegato il materiale non conforme agli standard, ci sono anche le case automobilistiche Toyota, Honda, Mazda, Nissan, Subaru e Mitsubishi, che stanno procedendo con le dovute verifiche per accertarsi che non ci siano rischi per la sicurezza sulle loro vetture. In tal caso, le auto coinvolte sarebbero richiamate in officina per sostituzioni. L’azienda giapponese Hitachi ha comunicato che anche i treni esportati in Gran Bretagna hanno impiegato le componenti in questione della Kobe. Tra i clienti del gruppo, infine, figurano anche Ford, General Motors, Boeing, Airbus e Daimler. La società comunicherà tra due settimane i dettagli dell’indagine e le contromisure che verranno prese per fare chiarezza.

Ma lo scandalo potrebbe allargarsi. La scorsa domenica il presidente della Kobe Steel, Hiroya Kawasaki, ha fatto la sua prima uscita pubblica dopo lo scoppio dello scandalo, parlando nella sede del ministero dell’Industria a Tokyo. Dopo il tradizionale inchino di scuse, Kawasaki ha ammesso che nel corso dell’investigazione potrebbero emergere ulteriori casi di cattiva condotta. “Ci sono casi sospetti in Giappone e all’estero – ha detto Kawasaki – Mi rendo conto che la fiducia nella nostra azienda è precitata allo zero, e in qualità di presidente intendo fare di tutto per riguadagnare la stima perduta”.

Rassicurazioni sono arrivate dal ministero dell’Economia giapponese, che ha comunicato che in nessun impianto nucleare sono stati utilizzati prodotti potenzialmente a rischio di Kobe Steel. Anche East Japan Railways, la più grande compagnia ferroviaria del mondo per numero di passeggeri, ha reso noto di non aver riscontrato problemi alla rete dei treni superveloci Shinkansen.

Al momento non ci sono state richieste di indennizzi da parte delle aziende interessate, ma il presidente Kawasaki non ha escluso la possibilità che il gruppo possa dover pagare dei risarcimenti. Si stima che il costo di sostituzione delle parti a rischio possa raggiungere i 15 miliardi di yen (133 milioni di dollari). In Borsa il titolo ha perso il 36% nei giorni che sono seguiti allo scandalo, azzerando 1,6 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato.

Il caso arriva a pochi giorno dall’annuncio da parte di Nissan di voler richiamare più di un milione di auto dopo che gli ispettori del ministero dei Trasporti hanno scoperto che i controlli finali di qualità sulla linea di montaggio sono stati condotti da personale non autorizzato.

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