La damnatio memoriae impazza, quale ultima moda del politically correct oppure, più precisamente, della sua degenerazione. Lenin, nel 1920, aveva scritto un saggio intitolato “L’estremismo, malattia infantile del comunismo che si potrebbe anche adattare, almeno per il titolo, alle situazioni che descriveremo. Questa storia potrebbe iniziare con le iniziative in patria di Hugo Chávez, all’epoca Presidente del Venezuela, che nel 2009 ordinò la rimozione della statua di Cristoforo Colombo a Caracas, provvedendo a dichiarare il 12 ottobre “Giorno della resistenza indigena”. Come dire che, quando conviene, la storia dell’umanità sarebbe basata su continue migrazioni; quando non conviene, si considera che ciascuno debba rimanere al proprio posto, rendendo la coerenza tutto fuorché una virtù.

L’iniziativa è stata poi riproposta in Argentina quando sempre Chávez, vedendo la statua di Colombo, chiese a Cristina Kirchner, all’epoca Presidente dell’Argentina, cosa ci facesse “quel genocida”. Detto fatto, la statua di Colombo a Buenos Aires è stata rimpiazzata con quella di Juana Azurduy, un’eroina delle guerre d’indipendenza contro la Spagna. Dal canto suo, chi ha rimosso il monumento a Colombo, Cristina Kirchner, è stata insignita del Collare dell’Ordine di Isabella la Cattolica, che qualche cosina con il navigatore genovese aveva a che fare.

Ora sono in corso, negli Usa, iniziative analoghe, culminate con violente proteste contro l’esploratore genovese in diversi Stati e con la nomina da parte del sindaco di New York De Blasio di una commissione dedicata proprio alla rimozione di statue e monumenti di coloro che, per motivi contingenti, appaiono oggi “nemici della Repubblica“ (istigatori all’odio, alla divisione, al razzismo e all’antisemitismo).

Anche in Italia si è dibattuto sulla rimozione della scritta “Mussolini Dux” dall‘obelisco del Foro Italico a Roma e sull‘opportunità del ripristino della scritta “Dux“ sul Monte Giano in provincia di Rieti, andata in fumo in un più vasto incendio.

Certamente ci si limita ai simboli, perché altrimenti chi depreca il colonialismo dovrebbe fare le valigie e tornarsene nei Paesi di provenienza, col risultato che alcuni Paesi (come l‘America ad esempio) rimarrebbero pressoché vuoti. Ma anche limitandosi ai simboli, chi ieri appariva come eroe, domani potrebbe essere oggetto di una rivisitazione storica e non apparire più una “brava persona“. E, aggiungiamo noi, se rimanessero soltanto i monumenti alle “brave persone“, gli scultori andrebbero a ingrossare le fila dei disoccupati.

Una diffusa damnatio memoriae comporta il rischio di una continua manipolazione della storia e un tentativo estremo di riscriverla, pur di cancellarne le tracce.

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