La crisi del settimo anno anche per Enrico Rossi, governatore della Regione Toscana? Eletto presidente nel 2010 anche con la benedizione politica di Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze, che tra l’amico Federico Gelli e l’ex sindaco comunista di Pontedera, scelse quest’ultimo, Rossi è ai ferri corti con i renziani. Un conflitto che qualche spiritoso ha ribattezzato la “guerra delle agende”. Tutto è nato dalle accuse del super renziano Eugenio Giani, presidente del parlamentino toscano, che in vena di esami ha rimandato a settembre Rossi.

Motivo? Sarebbe poco presente al timone della Toscana. Accusa pesante e forse anche poco istituzionale. Mai prima d’ora si era sentito un presidente di aula bacchettare politicamente il presidente della giunta. Fair play istituzionale a parte, Rossi ha sfidato piccato Giani: “Da ora in poi io renderò nota la mia agenda quotidiana, fai tu altrettanto”, questo il senso. Così ogni giorno sul tavolo dei giornali arriva l’agenda degli impegni del governatore, ex Pd, passato nel febbraio scorso nelle file di Mdp.

Come in ogni guerra il nome e la scintilla sono abbastanza marginali. E così anche le agende costituiscono un motivo abbastanza futile, perché Renzi da sindaco non ha dato certo il buon esempio. Quando fu eletto segretario nazionale del Pd a Palazzo Vecchio iniziarono a vederlo poco. E ogni lunedì, giorno dedicato al consiglio comunale, era un continuo ribollire delle polemiche contro il sindaco troppo spesso assente. Presente più al Nazareno che a Palazzo Vecchio.

La “guerra” tra Rossi e i renziani è in realtà politica. L’indomani le ultime elezioni amministrative con il crollo in Toscana di due comuni rossi come Pistoia e Carrara, il governatore incolpò Renzi della sconfitta: “È evidente che le politiche neoreaganiane di Renzi, che scaricano sul lavoro tutti i costi e aumentano le disuguaglianze anziché contrastarle, si sono alienate fette di sinistra sempre più ampie”, tuonò il governatore. Risposta del capogruppo del Pd, il renziano Leonardo Marras: “Rossi ci dica se ha ancora voglia di lavorare insieme a noi, altrimenti è bene prendere altre strade”. Una risposta dal sapore di ultimatum. Come dire, o Rossi si allinea oppure meglio dirsi addio.

In realtà da quando il governatore ha lasciato il Pd la situazione in Regione con i renziani è da separati in casa. Non c’è occasione in cui non sia scontro, polemica. Ad esempio: il flop elettorale in Toscana se Rossi lo attribuisce alle politiche economiche di Renzi, l’ex premier non perde occasione per rimarcare che il candidato del Pd sconfitto a Pistoia, Samuele Bertinelli, era rossiano.

E anche sui nodi programmatici della Toscana, dalla realizzazione delle infrastrutture ad Aferpi, la società che avrebbe dovuto rilanciare le acciaierie a Piombino, è un ping pong di polemiche tra Rossi e i renziani che in consiglio regionale hanno la maggioranza dei consiglieri. Loro possono mandare a casa il governatore, ma anche Rossi se dovesse dimettersi costringerebbe i consiglieri a terminare anzitempo la legislatura. L’eventualità di elezioni anticipate in Toscana non è così del tutto esclusa. Tra l’altro nel 2018 ci saranno le elezioni politiche e ad esse potrebbero essere abbinate quelle in Toscana se la “guerra” tra Rossi e i renziani dovesse continuare.

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