di Davide Prevarin

Una costante da quando mi sono trasferito nel Regno Unito, anni fa, sono le domande che i britannici mi fanno sull’Italia. Certo, vogliono sapere di Venezia, Sorrento, e Firenze, ma soprattutto mi chiedono di Berlusconi. In particolare, dal principio, appena arrivato nel 2010, quando il tramonto della carriera del Cavaliere era finalmente cominciato. Lo scandalo del Bunga bunga era stato il colpo di grazia per la sua immagine in Italia, ma che fosse poco serio all’estero lo pensavano (e scrivevano) da anni, a partire dall’aprile del 2001 quando l’Economist titolò in prima pagina “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy” (Perché Silvio Berlusconi non è idoneo a governare l’Italia). Proprio non si capacitavano di come un leader così clownesco riuscisse a convincere l’elettorato.

Mi chiedevano perché la gente lo votasse, se gli italiani gli credevano sul serio. Domande che, nella mia ingenuità, pensavo derivassero dal fatto che in un paese civile fosse inconcepibile avere un leader politico come Berlusconi. Invece no, più semplicemente, era perché da loro doveva ancora arrivare.

Come noto, giovedì 8 giugno gli anglosassoni tornano alle urne. Queste elezioni, che la premier conservatrice Theresa May ha richiesto con la speranza di rafforzare la propria maggioranza, mi danno una sensazione di déjà vu sempre più forte.

1) I media. Il vero problema in Italia non era tanto la cassa di risonanza data dalle tv o dai giornali riconducibili alla galassia Mediaset-Mondadori, ma la cacciata delle cosiddette “voci libere” (Biagi, Santoro, Luttazzi spariti dallo schermo per il famigerato “Editto bulgaro”), la demonizzazione dell’opposizione, e, dall’altra parte la pessima offerta informativa della Rai. I tabloid inglesi, si sa, sono da sempre fonte d’imbarazzo (specialmente il Daily Mail); certo è che neanche la Bbbc stia brillando per imparzialità, anzi. Ai tempi di Berlusconi ci dicevano che un’informazione seria come quella che fa la tv di Stato inglese lo avrebbe fatto a pezzi. Siamo sicuri?

2) L’opposizione. Jeremy Corbyn è decisamente un leader atipico, così diverso com’è dai soliti personaggi labouristi, specialmente i Blairiani. Resta il fatto che è stato eletto dalla base del partito, aumentando pure i tesseramenti. Le divisioni interne al Labour, però, sono state fonte di imbarazzo e impaccio politico – proprio come nella sinistra italiana nella quale la frammentazione e il correntismo fine a se stessi hanno inevitabilmente rafforzato le destre e i movimenti populisti. Certo Corbyn non è esente da colpe: un po’ come un Bersani d’Oltremanica.

3) I comunisti. Che le destre definiscano “comuniste” le sinistre è cosa comune in tutto il mondo. Ma Theresa May sembra proprio aver preso ripetizioni ad Arcore: “Jeremy Corbyn sventola la bandiera rossa”, titolava l’Evening Standard, il giornale ora diretto dall’ex cancelliere economico dei Tories. Non siamo ancora arrivati al libro nero del comunismo o ai discorsi sui bambini bolliti, ma le accuse di complicità coi terroristi stanno già rimbalzando, e la scoperta di “buchi” nel finanziamento dei programmi renderebbero fiero Giulio Tremonti.

4) Contraddittorio. Sulla comunicazione c’è una differenza enorme fra Berlusconi e la May: se il primo era proprio un mostro (di bravura, s’intende), la leader inglese è decisamente in affanno. Ma qualche trucco lo ha capito, e da quando ha indetto le elezioni (che aveva promesso non avrebbe indetto – anche raccontare balle è una cosa che ha imparato bene) sfugge costantemente al contraddittorio. Quando le tocca incontrare i giornalisti sciorina i soliti slogan. Non racconta barzellette e non sa nulla di calcio, anche perché le manca proprio il carisma necessario, ma ormai sono mesi che il pubblico britannico non la sente rispondere a una domanda che sia una.

5) Le cene eleganti. Magari ai suoi commensali non potrà chiedere di baciare la statuetta di Priapo, ma Theresa May sa decisamente circondarsi di persone che le possono garantire il successo che spera. Se Berlusconi deve ringraziare i suoi contatti con il borsalino, Theresa May si è trovata quelli con il borsellino: i cosiddetti wealthy donors dei Tories non si tirano certo indietro quando arriva il momento di firmare assegni, con tutti i malumori che ne conseguono nei mesi a seguire.

Magari mancheranno gli infiniti discorsi sulla prescrizione, le leggi ad personam, Apicella e Previti, ma tutto il resto sembra davvero uscito da un film già visto. Chissà se fra qualche anno vedremo Theresa May allattare agnellini. Nel frattempo vuole riaprire la caccia alla volpe, ma chi lo sa, magari è stata fraintesa.

@devilmath

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