Il nuovo record di imbattibilità per una squadra italiana in Champions, che spegne le velleità di Falcao e Mbappé. L’uomo tutta-fascia Mario Manduzkic, massima espressione dello spirito di sacrificio. I numeri di Dani Alves nella doppia sfida al Monaco: tre gol propiziati e uno (bellissimo) segnato. Per raccontare della seconda finale in tre anni raggiunta dalla Juventus bisogna partire da questi elementi, che non spiegano completamente, però, il modo con cui i bianconeri hanno staccato il biglietto per Cardiff, dove il 3 giugno cercheranno di salire per la terza volta sul tetto d’Europa.

Se si vuole raccogliere l’essenza dei 180 minuti giocati contro il Monaco, basta una parola: passeggiata. Non lo è stata, ma tale i bianconeri l’hanno fatta sembrare riducendo i tentativi di rimonta dopo il 2-0 dell’andata in un quarto d’ora di furore e in un gol dello spauracchio Kylian Mbappé quando ormai tutto era compiuto. La rete del talento francese verrà ricordata solo perché sgretola dopo sei partite – o 689 minuti che dir si voglia – il muro alzato da Bonucci e Chiellini.

Per il resto, a parte un po’ di gambina corta nei minuti iniziali, è un monologo a strisce bianconere. Nonostante Jardim provi a sorprendere tatticamente Allegri virando su 3-5-2 con Mendy altissimo sulla sinistra e Moutinho alle spalle degli attaccanti. Alla Juve basta un quarto d’ora per prendere le misure e iniziare lo show entrando nella difesa di burro dei monegaschi, più morbida del solito con otto giocatori nella metà campo avversaria alla ricerca del ribaltone. Il primo a sporcare i guanti di Subasic è Higuain, poi il portiere ferma Manduzkic e dopo altri tre minuti una bella combinazione tra Dybala e Pjanic viene stoppata da Raggi in scivolata.

Il gol è nell’aria e arriva puntuale appena Dani Alves entra nel vivo del gioco. Parte da suoi piedi l’azione che concretizza i sogni di finale. E solo perché Subasic respinge la prima conclusione di Manduzkic, il cross perfetto del brasiliano non può essere catalogato come assist. Ma non può essere una fredda statistica sminuire quanto l’ex blaugrana ha ‘pesato’ sull’andazzo di questa semifinale e, più in generale, nella cavalcata verso Cardiff. Nessun difensore è stato incisivo quanto lui da settembre a oggi: 4 assist e 3 gol. Il terzo, bellissimo, è quello del raddoppio davanti a uno Stadium letteralmente ai suoi piedi. È suo, infatti, il destro dal limite che batte Subasic. Se n’è andata solo poco più di mezz’ora e Cardiff è ormai cosa fatta.

Prima dell’intervallo, la Juve potrebbe dilagare ma Higuain è in fuorigioco su un altro clamoroso lancio di Alves che si ripete ancora con Dybala, fermato da Subasic. È accademia, che continua per tutto il secondo tempo, animato dalle sportellate tra Glik e Higuain, innervosito dalle scorrettezze dell’ex difensore granata. Così quando Mbappé supera Buffon, l’unica preoccupazione è stabilire i minuti esatti della sua imbattibilità. Il calcolo dice 689 minuti. Non ci era riuscito neanche il Milan nel 2005, fermandosi a 48 in meno.

Lo Stadium è già in festa e pregusta un finale di stagione che potrebbe diventare memorabile. La prima data segnata in rosso è quella di domenica: senza sconfitta all’Olimpico, contro la Roma, sarà scudetto. Poi, sempre nella capitale, mercoledì 17 c’è la finale di Coppa Italia con la Lazio, da affrontare senza Pjanic (squalificato) e forse senza Khedira, uscito nel primo tempo per un problema muscolare. Da quel momento, tutti i pensieri saranno rivolti a Cardiff. L’ultima tappa, quella storicamente più difficile per la Juve.

A Madrid, però, farebbero bene a non dormire sonni tranquilli: dieci minuti dopo il fischio finale, quando tutti gli altri giocatori sono sotto la doccia, Gigi Buffon torna in campo. Il capitano va sotto la curva, salta e canta con gli ultras, carica l’ambiente e se stesso, visto che la Champions è l’unico trofeo che manca nella sua bacheca. C’è un’aria diversa allo Stadium rispetto al 2015: l’entusiasmo è diventato consapevolezza. Cristiano Ronaldo o Diego Simeone sono avvisati.

 

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