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Mosul e Westminster, le vittime collaterali di una guerra irrazionale

Mosul e Westminster, le vittime collaterali di una guerra irrazionale
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Avevano le mani strette le une alle altre le donne musulmane che hanno formato una catena umana sul ponte di Westminster teatro, il 22 marzo scorso, di un attentato terroristico. Un gesto per dimostrare la solidarietà verso le vittime e la città colpita nel cuore da Khalid Masood, pluripregiudicato, che ha compiuto un attentato poi rivendicato dall’Isis. Anche se Scotland Yard ribadisce che l’attentatore non era legato all’Isis o ad Al Qaida. Infatti, secondo la ricostruzione della polizia, il terrorista non si sarebbe radicalizzato quando nel 2003 si trovava in carcere, ma aveva un generico interesse per la jihad.

Ciò non toglie che avendo colpito il cuore di Londra, almeno quello istituzionale, l’attentato ha avuto una eco enorme. L’effetto è stato quello di rinvigorire la vulgata dei commentatori del “Siamo sotto attacco” e “Devono condannare tutti (i musulmani) o sono conniventi”. La generalizzazione è dovuta allo scontro, mai sopito, in atto con l’Islam da parte di alcuni instancabili imprenditori della paura che cercano in questo timore verso l’altro – il musulmano – il modo di accaparrare voti in nome della sicurezza che il nemico sempre in agguato ci toglie.

Seguendo il buon senso, basterebbe ripetere quello che ha detto Sadiq Khan, sindaco di Londra: “Le vittime erano persone che venivano da ogni angolo del pianeta […], Londra è una grande città, piena di persone fantastiche di tutte le estrazioni. Questi individui cattivi che cercano di distruggere il nostro modo di vivere condiviso non vinceranno”. Parole che richiamano al multiculturalismo di Londra e di cui lo stesso Khan è figlio. Un tentativo di dirci: rimaniamo insieme.

Ma pare che per molti non basti. Rimaniamo, noi e la nostra civiltà, sotto attacco; ostaggi dell’Islam che, prima o poi, verrà a colpirci. Di queste idee si nutre la nostra paura. Così da non permetterci di vedere quella degli altri.

Allora la soluzione è colpire alla radice, magari a Mosul, in Iraq. Il 17 marzo scorso, un raid della coalizione anti-Isis ha ucciso 150 persone in un colpo solo e altre 33 a Raqqa, in Siria. Vittime collaterali, di una guerra di scelte irrazionali, che non avranno mai manifestazioni di solidarietà. Al massimo, un bagno collettivo nel Tevere.

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