“London will not be cowed”, Londra non si farà intimidire. Lo ha detto il 22 marzo, poco dopo l’attacco terroristico che ha sconvolto la capitale inglese. Lo ha ripetuto ventiquattro ore dopo, durante la veglia che lui stesso ha voluto organizzare per mantenere la sua città unita. Sadiq Khan, sindaco musulmano di Londra, ha preso in prestito e fatto sua la promessa del predecessore, l’ex primo cittadino Ken Livingston, dopo gli attacchi alla metropolitana londinese del 7 luglio 2005. Lo ha fatto da sindaco musulmano di origini pakistane che si frappone tra i suoi cittadini, la sua città, e l’estremismo di matrice islamica che utilizza la sua stessa religione come pretesto per seminare il terrore.

È per mantenere la città unita sotto la sua storia di integrazione e multiculturalismo che ha voluto organizzare la veglia che dalle 18:00 del 23 marzo, le 19:00 in Italia, ha accolto migliaia di persone a Trafalgar Square, quello che è considerato il cuore di Londra. Khan vuol mantenere la città unita ricordando ai suoi abitanti la vera natura della metropoli nella quale vivono: una città che apre le braccia e le porte al multiculturalismo, a tutte le confessioni e che non si lascerà sconfiggere dal terrorismo jihadista che mercoledì 22 marzo ha assunto le sembianze di Khalid Masood, 52enne del Kent che ha prima travolto con la sua auto e poi accoltellato diverse persone davanti ai cancelli di Westminster, uccidendone tre. Il suo intento Khan lo fa capire già dalle prime battute: “Le vittime erano persone che venivano da ogni angolo del pianeta […] Londra è una grande città, piena di persone fantastiche di tutte le estrazioni. Questi individui cattivi che cercano di distruggere il nostro modo di vivere condiviso non vinceranno”.

E non potrebbe essere altrimenti. Per lui, che di quella Londra patria del multiculturalismo e dell’accoglienza è figlio, è naturale difenderne certi valori. Perché è come difendere la sua stessa storia di figlio musulmano di immigrati pakistani, prima, e di avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, poi. Lo ha dimostrato quando, in occasione dell’Eid al-Fitr di luglio 2016, la festa per la fine del Ramadan, incontrò le comunità musulmane sempre a Trafalgar Square, ricordando loro di condannare chi strumentalizza l’Islam per compiere atti terroristici. Oppure quando, nel giugno 2016, sfilò durante il Gay Pride di Londra per sostenere i diritti e la sicurezza della comunità Lgbt. Lo disse anche in un’intervista dell’aprile 2016 al New York Times: “Sono londinese, sono europeo, sono britannico, sono inglese, sono di fede islamica, di origini pakistane, un padre, un marito”. Un uomo dalle diverse identità, un po’ come lo sono molti abitanti della capitale inglese e come lo è la città stessa.

Nella notte del 23 marzo Khan si è presentato a Trafalgar Square ancora come londinese, europeo, britannico e inglese. Ma anche e soprattutto come musulmano che dice “no” all’estremismo islamico. È lì anche come sindaco che deve difendersi dagli attacchi delle opposizioni, dall’ex leader dell’Ukip, Nigel Farage, a Donald Trump Jr. che gli rinfacciano delle dichiarazioni del settembre scorso, quando disse che “il terrorismo fa parte del pacchetto del vivere in una grande città “ come Londra. Lui non commenta e guarda avanti. O meglio, risponde chiedendo unità alla sua Londra: “Ci alziamo in piedi in nome dei nostri valori – ha poi detto concludendo il suo discorso – e mostriamo al mondo che siamo la più grande città del mondo. La nostra risposta a questo attacco nella nostra città, a questo attacco al nostro modo di vivere, a questo attacco ai nostri valori condivisi, mostra al mondo che cosa vuol dire essere un londinese”. London will not be cowed.

Twitter: @GianniRosini

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