Michele Deiana ha 22 anni, un’ intelligenza vivace ed ha iniziato a suonare le launeddas a 14 anni.

Michele Deiana vive a Quartu. Se chiedi a qualunque sardo ti risponde che “Quartu è la terza città della Sardegna”.  In effetti, con i suoi 70mila abitanti e rotti, è dietro solamente a Cagliari e Sassari per densità. Ma se entri a casa del nonno di Michele ed in tante altre case in cui la sera si ritrovano i suonatori di launeddas, i poeti estemporanei (is cantadoris), chitarristi e basciu e contra, ti accorgi che per loro, Quartu è un paese, una comunità.

Ma cosa sono le launeddas?

Secondo wikipedia “Le launeddas sono uno strumento musicale a fiato, policalamo ad ancia battente, originario della Sardegna. È uno strumento di origini antichissime, in grado di produrre polifonia; è  suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne”.

In realtà, “una mancosedda del 1960 è simile al suo antenato del Regno medio egiziano per l’impiego di canna naturale nella costruzione di tutte le parti dello strumento, per l’uso di cera a diversi fini, e per la costruzione del bocchino”. Stiamo parlando di più di 7mila anni fa.

Le prime cinque volte che ascolti le launeddas, non le apprezzi: sembra tutto uguale. Dopo, però, entri in un universo sconosciuto, affascinante, avvolgente, dolce, che riporta tanti all’arcadia, un topos letterario prevalente in Sardegna sino alla fine dell’ottocento. Se in un primo momento non si riesce a godere dei loro suoni è probabilmente a causa di una mancata attitudine all’ascolto dello strumento. Basterebbe promuoverne lo studio, così come gli altri strumenti, e tutto sarebbe risolto.

Michele ha 22 anni, non ha finito la scuola perché la scuola non gli dava molto, ma già insegna come suonare le launeddas ai suoi coetanei e vorrebbe, magari, un giorno, insegnare in un’istituzione.

Al matrimonio di Salvatore Cubeddu, direttore della Fondazione Sardinia ed amante delle launeddas, suonarono alcuni dei 7 anziani che ancora sapevano suonare. Negli anni ottanta, l’establishment musicale italiano (e quello naturalizzato sardo-italiota) era quasi riuscito nel suo intento di annullare uno strumento millenario. Oggi però sono più di 300 i suonatori di launeddas.

Con Michele, a Quartu, sono quasi una decina i suonatori, altrettanti i principianti. La fatica è uguale a quella di imparare a suonare un altro strumento del Conservatorio, con la differenza che al Conservatorio quest’opzione non esiste ancora, e che nelle orchestre remunerate dallo Stato italiano non c’è spazio per le launeddas.

Michele però va avanti, si esercita quotidianamente e sempre più lo chiamano per le processioni, le feste, le sagre.

Pur bistrattate dallo Stato italiano, le launeddas oggi devono pagare la Siae. Se ad una festa paesana o di città si vogliono far suonare le launeddas, capita che arrivi il signore della Siae che pretende di essere pagato, pena una multa salata, affinché si abbia il diritto di suonare musiche millenarie. Se tutto questo succede, non aveva forse ragione il giovane Gramsci quando scriveva di “buttare a mare i continentali”?

Le launeddas sono la musica dei sardi, sono sempre state vive tra il popolo. A dar loro dignità è stato, però, un danese, Andreas Fridolin Weis Bentzon che, giovanissimo, le ha scoperte, ne è rimasto estasiato e ci ha dedicato decine di studi e le energie di una vita, prematuramente terminata.

Se i turisti stranieri in Sardegna scoprissero le launeddas, scoprirebbero uno dei nostri segreti, ma nessuno lo fa. Eppure, qualcosa si muove: il conservatorio di Cagliari ha pubblicato il primo bando per un corso di Launeddas. Per la prima volta, dunque, si potrà apprendere cosa sono le launeddas ed imparare a suonarle. 

E poi c’è Michele, coi suoi allievi ed amici.

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