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Le ragioni dei tassisti. E quelle degli altri?

Le ragioni dei tassisti. E quelle degli altri?
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Come prevedibile, di fronte all’interruzione del servizio pubblico il governo ha promesso di regolamentare d’urgenza l’attività dei Noleggiatori con conducente (Ncc), dove “regolamentare” significa “ limitare”.

C’era da aspettarselo perché le ragioni della collettività silenziosa non sono mai anteposte a quelle delle minoranze violente e perché da decenni i governi rincorrono le opposizioni anziché tenere fermi i princìpi, così che, la discesa in piazza del M5S che si è politicamente intestato la protesta, ha convinto il governo a cedere precipitosamente.

Da più parti la violenza è stata condannata, ma con molti “però” a spiegare che se il metodo era violento le ragioni alla base erano sacrosante, perché i tassisti difendono il posto di lavoro e perché devono ammortizzare l’investimento per le licenze, motivazioni che hanno debolezze: ciascuno difende il posto di lavoro e vorrei vedere che fosse altrimenti, ma purtroppo ciò non è sempre possibile di fronte al mutare della società e alla concorrenza. Ne sanno qualcosa i negozianti o i dipendenti delle aziende che hanno chiuso o coloro le cui competenze sono state rese obsolete dai nuovi mezzi a disposizione; per esempio il lavoro di segreteria, redazione di documenti, archiviazione, che è stato cancellato dall’avvento dei pc e della e-mail.

La differenza tra queste categorie e quella dei tassisti consiste, oltre che nella modalità di rivendicazione, nelle norme che lo Stato vara a loro protezione. Si fatica a comprendere perché alcuni settori debbano essere esposti a progresso e concorrenza e altri no. Il comportamento dei legislatori appare in questo senso schizofrenico: nessuna omogeneità di trattamento che sposterebbe il dibattito da una singola vertenza di categoria all’impostazione della società: liberista o protezionista? Orientata alla tutela del consumatore o del produttore? Aperta alle innovazioni o conservatrice? Senza giudizio di merito, sarebbe da definire che nazione si vuole e poi applicarne i criteri a tutti i settori, senza creare aree di privilegio e altre esposte ai sette venti.

A guardare l’esito del referendum del 4 dicembre nonché l’opposizione al jobs act e alla “buona scuola”, si concluderebbe che l’elettorato voglia un’Italia protezionista, conservatrice e che tuteli prima di tutto i produttori di beni e servizi. Basterebbe dare una risposta normativa a questo desiderio e poi applicare le regole, ma a tutti senza distinzioni: protetti tutti e non solo una parte, chiusura alle innovazioni ovunque, tutti i consumi dipendenti da prezzo e qualità che i produttori possono (o vogliono) dare.

Tutto bene, ma anche no, perché fossilizzare una realtà che muta continuamente pone un serio problema di micro-sistemi chiusi in un macro-sistema aperto (alla demografia, per esempio) e che una divisone tra produttori e fruitori non è possibile dove chi produce anche consuma. Il primo dilemma è ben rappresentato dalla categoria, appunto, dei tassisti; un sistema chiuso molto bene nel quale non si entra o lo si fa con il contagocce; i tassisti hanno lottato con successo contro la liberalizzazione delle licenze che le municipalità concedevano gratuitamente, con ciò innescando un mercato secondario con prezzi alle stelle; il che, come detto all’inizio, sarebbe una delle ragioni per le quali il tassista è “costretto” a lottare violentemente. Un circolo vizioso: il protezionismo ha prodotto fenomeni che richiedono più protezionismo.
Se il criterio del numero chiuso del quale godono i tassisti e qualche altra lobby, fosse applicato a tutte le attività, l’unica possibilità di accesso al lavoro di nuovi soggetti sarebbe legato al decesso o alla pensione di chi vi lavora.

E che dire dei produttori/consumatori? Il protezionismo di me stesso fa si che io possa imporre mie tariffe e qualità all’altro/consumatore, ma al contempo, il protezionismo dell’altro/produttore imporrebbe a me le sue tariffe e qualità. Cosa direbbero i tassisti andando a comperare il pane se non esistessero i supermercati (che sono l’equivalente di UBER nella distribuzione) e fosse contingentato il numero delle panetterie facendo lievitare i prezzi e determinando il volume di prodotto disponibile sulla base delle esigenze dei fornai? O se dovessero ancora circolare con la mappa stradale perché il GPS metteva fuori gioco chi la stampava?

La mancata apertura alla concorrenza e la protezione corporativa creano immediati problemi a chi non ancora lavora e a chi consuma i prodotti e i servizi. Infatti, puntualmente, i costi dei taxi a Milano e Roma stanno tra i più alti del mondo e l’accesso alla professione di tassista è virtualmente precluso.

Il piegarsi al corporativismo violento autorizza poi qualsiasi altra organizzazione, categoria o gruppo (commercianti, lavoratori dipendenti, artigiani etc.), a pretendere analoga rete protettiva, se necessario usando bombe carta e blocchi stradali. Risultato: una giungla, dove però, almeno, sarebbero tutti predatori e prede allo stesso modo.

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