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I Santi Bevitori, ‘E’ Stato Errore Umano’: prove tecniche di originalità

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I Santi Bevitori (Luca Bocchetti, Lucio Vaccari, Alessandro Lopane, Yuri Colafigli e Walter Brunetti) sono una realtà contro cui ho avuto fortuna di impattare qualche anno fa per merito non mio quanto piuttosto delle loro canzoni e della loro musica: semplice, lineare, schifosamente melodica, ispirata, autoirònica, bella. Figli della migliore tradizione cantautorale italiana (quella più eclettica e suonata di Ivan Graziani, Edoardo Bennato e Ivano Fossati), ammiccanti e gelosi custodi del rock radicale di Hendrix, osservatori attenti della complessità dei Beatles e, perché no, del progressive (che fu) italiano e straniero.

E’ Stato Errore Umano” – uscito ad ottobre –  segue di quasi 3 anni il precedente EP “Presto Verremo Alle Mani” (2014) e li conferma come una delle realtà più interessanti del panorama ‘emerso’ romano e più in generale nazionale: un paese, il nostro, che quando trova il tempo di voltarsi dall’altra parte rispetto agli zombie sacri da classifica, può ancora trovare il tempo di sorprendersi delle tante cose degne di nota che pure sono sempre lì, sotto i nasi di tutti noi.




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L’album, anticipato dal singolo “Esterina” (il cui video è un regalo in anteprima per i lettori de Il Fatto), è il primo vero e proprio del gruppo: un compendio delle loro influenze (alcune delle quali facilmente acciuffabili e descritte sopra) ma al contempo incredibilmente originale e fresco, non bastasse già il fatto che qualcuno ai giorni nostri possa imbracciare uno strumento e scrivere un pezzo (11 per l’esattezza) sbattendolo su tela come fosse una jam di 30 o 40 anni fa: un’improvvisazione tanto acida quanto ragionata, vittima un po’ del vino un po’ del passaparola di storie su storie che chiedevano solo di essere raccontate e messe nero su bianco. Su tutte, segnalo (non me ne vogliano le altre): “L’Uomo Straccio”, “Non Ho Mai Fatto Il Cameriere”, “Canto di Natale”, “Un Giorno Alle Poste”, “I Santi Bevitori” e ovviamente la già citata “Esterina”.

Orgogliosamente romani (non so se pure romanisti), i nostri 5 girano i palchi della Capitale alla ricerca di una consacrazione più o meno definitiva che passa anche per l’attenzione di voi che leggete, invischiati (sempre loro) nella missione impossibile di uscire indenni (e sobri) da uno dei tanti aperitivi tristi che qualcuno ha avuto l’idea (forse geniale) di definire “scena” contro ogni idea di ‘reciproca fratellanza’, stima e solidarietà. Forza Santi Bevitori.

L’album, anticipato dal singolo “Esterina” (il cui video è un regalo in anteprima per i lettori de Il Fatto), è il primo vero e proprio del gruppo: un compendio delle loro influenze (alcune delle quali facilmente acciuffabili e descritte sopra) ma al contempo incredibilmente originale e fresco, non bastasse già il fatto che qualcuno ai giorni nostri possa imbracciare uno strumento e scrivere un pezzo (11 per l’esattezza) sbattendolo su tela come fosse una jam di 30 o 40 anni fa: un’improvvisazione tanto acida quanto ragionata, vittima un po’ del vino un po’ del passaparola di storie su storie che chiedevano solo di essere raccontate e messe nero su bianco. Su tutte, segnalo (non me ne vogliano le altre): “L’Uomo Straccio”, “Non Ho Mai Fatto Il Cameriere”, “Canto di Natale”, “Un Giorno Alle Poste”, “I Santi Bevitori” e ovviamente la già citata “Esterina”.

Orgogliosamente romani (non so se pure romanisti), i nostri 5 girano i palchi della Capitale alla ricerca di una consacrazione più o meno definitiva che passa anche per l’attenzione di voi che leggete, invischiati (sempre loro) nella missione impossibile di uscire indenni (e sobri) da uno dei tanti aperitivi tristi che qualcuno ha avuto l’idea (forse geniale) di definire “scena” contro ogni idea di ‘reciproca fratellanza’, stima e solidarietà. Forza Santi Bevitori.

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