Pochi giorni fa sono stato in audizione in qualità di esperto alla Commissione Affari Sociali della Camera. Il tema da esaminare era il ddl Lorenzin sulla riforma degli Ordini. Visto che l’audizione era in streaming, in tempo reale sul web si è scatenata la polemica soprattutto da parte di alcuni capetti della nomenclatura dei collegi infermieristici. Vorrei ricapitolare le critiche che ho sostenuto alla proposta di legge:

– è ampiamente sotto-determinata cioè non si occupa dei problemi reali delle professioni e dei cittadini. Essa è stata pensata per rinsaldare e estendere un potere corporativo di vecchio stampo;
– si attiene ad un modello normativo di ordine e di collegio che ha esattamente 71 anni (ricostruzione degli ordini 1946) e che rispetto ai problemi delle professione e dei cittadini è regressivo e inadeguato;
– ignora l’immenso divario che esiste tra i problemi delle professione gli ordini e i collegi;
– non rimuove la contrapposizione tra professioni e i cittadini (contenzioso legale medicina difensiva eccesso di proceduralismo, ecc). Ricordo che la ratio su cui si basa da sempre la legislazione sugli ordini è quello della doppia tutela: i diritti dei cittadini sono garantiti dai doveri professionali. Oggi le professioni, spesso per ragioni finanziarie, per riduzioni degli organici, per limiti budgetari e altro, non sono in condizione di fare il loro dovere con la conseguenza che il malato può non essere più deontologicamente garantito.

Per dimostrare le mie tesi alla Commissione, ho illustrato i problemi noti alla letteratura e all’esperienza tanto degli ordini che dei collegi:

– essi mancano di credibilità cioè sono considerati dalle professioni come delle “camere di commercio” nelle quali prevalgono gli opportunismi personali del quadro dirigente. Le professioni in genere per sfiducia non vanno a votare per l’elezione dei loro organismi, spesso infatti capita che manchino i quorum minimi;
– sono istituzioni il cui operato non è mai stato oggetto di verifica perché sono garantiti da forme obbligatorie di finanziamento a carico delle professioni;
– sono istituzioni con profonde divisioni interne dove esistono addirittura più codici deontologici. L’intera deontologia da loro prodotta è ampiamente inadeguata.

Che risposte dà il disegno di legge? Due le soluzioni indicate:

– ridenominazione dei collegi in ordini. Si tratta di un’operazione di facciata perché dal punto di vista giuridico statutario e organizzativo ordini e collegi già sono identici e non cambia niente. Dal cambio della denominazione agli infermieri non deriverà nessun concreto vantaggio e nessun problema importante sarà risolto. Ma si darà loro l’illusione di essere uguali ai medici;
– ridefinizione giuridica degli ordini: non più enti ausiliari ma enti sussidiari dello Stato. La differenza tra funzione ausiliaria e funzione sussidiaria non è marginale: in un caso gli ordini non svolgono una funziona amministrativa attiva ma solo una funzione di iniziativa e di controllo, nell’altro invece in base al principio di sussidiarietà gli ordini possono svolgere compiti amministrativi in luogo e per conto dello Stato.

La proposta di legge, dunque, anziché preoccuparsi di risolvere i problemi dei cittadini e delle professioni, definendo una deontologia all’altezza dei tempi, punta a cambiare semplicemente la propria mission ma solo per allargare il proprio potere istituzionale. Se gli ordini e i collegi diventassero ente sussidiari dello Stato si dovrebbero trasferire molte funzioni oggi in capo al Ministero della Salute e alle Università. Quindi la proposta è di fatto una sorta di ministerializzazione dell’ordinistica in aperta competizione con altre istituzioni pubbliche, università compresa.

Queste proposte andrebbero semplicemente respinte perché non risolvono nessuno dei problemi gravi delle professioni. Alla commissione ho spiegato cosa farei io:

– riformerei l’idea di “corporazione” nata quasi un secolo fa per ricontestualizzarla nella società attuale;
– non cambierei né i compiti né la mission perché le professioni oggi sono indebolite ed hanno bisogno di essere difese ma riformerei radicalmente la deontologia come ha fatto il collegio Ipasvi di Pisa (vi suggerisco di leggervi la sua straordinaria proposta di codice deontologico);
– sottoporrei il sistema ordinistico ad un più serrato controllo sociale da parte dei cittadini e delle professioni modificando il sistema di finanziamento;
– istituirei un professional board a livello nazionale diretto dal ministro della Salute come il luogo nel quale tutte le professioni possano confrontarsi e suggerire al governo politiche adeguate;
– vincolerei l’intera ordinistica a tre condizionali: incompatibilità, trasparenza autonomia.

Sapete chi ha scritto materialmente il testo del disegno di legge? Due senatori del Pd, uno ex presidente della Fnomceo (onorevole Bianco), l’altro ex presidente dell’Ipasvi (onorevole Silvestro) che per decenni hanno governato l’ordinistica delle due più grandi professioni (medici e infermieri) riducendola a come è oggi ridotta e che nonostante le regole sull’incompatibilità ancora oggi continuano a tirare i fili del sistema.

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