“I dati del 2016 decretano un nuovo record per i musei italiani. I 44,5 milioni di ingressi nei luoghi della cultura statali hanno portato incassi per oltre 172 milioni di euro, con un incremento rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015 che corrispondono a 1,2 milioni di visitatori in più e a maggiori incassi per 18,5 milioni di euro. Queste risorse preziose torneranno interamente ai musei secondo un sistema che premia le migliori gestioni e al contempo garantisce le piccole realtà”.

Raggiante il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Franceschini. Snocciola numeri. Nota che “la parte del leone la gioca senza dubbio il nostro patrimonio archeologico, se si considera che solo fra Colosseo, Foro Romano, Palatino, Museo Archeologico di Napoli, parco archeologico di Paestum e Scavi di Pompei nell’anno appena trascorso sono stati emessi circa 11 milioni di biglietti. Ma anche i musei hanno un ruolo importante, dal momento che circa la metà degli ingressi è concentrata nei musei autonomi”. Sembra il trionfo per il patrimonio italiano. Si celebrano primati (di musei e siti archeologici) e politiche di valorizzazione del ministro.

Senza dubbio è un gran risultato quello ottenuto dalla top 30. I siti che hanno registrato più ingressi nel corso del 2016. Dal Colosseo, Foro Romano e Palatino alla Grotta azzurra di Anacapri, passando per gli Scavi di Pompei, la Galleria degli Uffizi e il Museo del Castello di Miramare a Trieste. Una prima notazione. Nessuna novità rispetto all’anno precedente. Stessi siti, fatta eccezione per le Grotte di Catullo, a Sirmione. Ebbene solo loro nell’anno appena trascorso hanno raccolto 24.960.603 ingressi.

Considerando che nel 2015 erano stati 23.948.569 se ne deduce un incremento di 1.012.034 unità. Ci mancherebbe, nessuno nega che si tratti di un “più” importante. Ma il punto non è questo, ovviamente. Si conosce ormai la grande attenzione che il ministro dedica ad aree archeologiche e musei di primo piano. Insomma alle guest star in grado di assicurare ingressi e introiti stellati. La questione è un’altra. Ad esempio rilevare come quel + 1.012.034 sia una parte cospicua di quel più 1,2 milioni di visitatori registrati sul complesso dei luoghi della cultura. Più precisamente l’84,3%. Quindi a fronte di un grande incremento della top 30 si è verificata una flebile crescita di tutto il resto. Dato questo che non sembra proprio insignificante.

Già perché oltre a Pompei, alla Pinacoteca di Brera, all’area centrale di Roma, al palazzo Ducale di Mantova c’è moltissimo altro. Quel “museo diffuso” italiano del quale si continua a parlare, magnificandone le diverse realtà. “Luoghi della cultura tradizionalmente meno conosciuti e visitati”, cresciuti nel 2016. Come nel caso dell’ “Antiquarium di via del Seminario a Trieste, a ingresso gratuito, che, passando da 120 a 1.240 visitatori, registra lo straordinario incremento del 933%”. Oppure come “la Cappella Espiatoria di Monza con il 591% di visitatori in più”.

Ancora, come, tra i musei a pagamento, il circuito archeologico di Gioia del Colle, che vede i propri visitatori passare dai poco più di 1.500 del 2015 agli oltre 7.000 del 2016. Vero, si tratta di balzi significativi. Ma perché negare che esistono anche dei “meno” ben poco esaltanti? E’ sufficiente scorrere le tabelle con i dati del Mibact, nelle quali i diversi siti sono posti in ordine decrescente per numero degli ingressi, partendo dalla fine. Quanti “meno” rispetto al 2015 nelle ultime pagine!

Basta arrestarsi al Parco dell’anfiteatro romano e antiquarium Alda Levi a Milano, che ha avuto 5.243 visitatori rispetto ai 5.371 del 2015. Spiccano i -47.963 del Museo nazionale della preistoria della Val Camonica di Capo di Ponte, i -9.319 della basilica paleocristiana di Concordia Sagittaria, i -9152 del Circuito archeologico di Cerveteri, i -4339 del Museo delle Arti e tradizioni popolari dell’Alta valle del Tevere di Anghiari, i -3998 del Museo archeologico nazionale concordiese di Portogruaro, i -3654 del Circuito Museale di Portogruaro, i -2314 del Museo archeologico nazionale “G. Carettoni” di Cassino, i -2.200 di palazzo Altieri a Oriolo Romano, i – 2.007 del Museo Mario Praz di Roma, i -1523 del museo e del parco archeologico di Caulonia, i -1.376 dell’area archeologica della Basilica romana di Brescia, i -1.237 della Tomba della Scimmia di Chiusi, i -1.207 del Museo archeologico Nazionale di Venafro.

Ci sarebbero anche i siti che hanno avuto un “meno” inferiore alle 1.000 unità. Ci sono anche i luoghi che continuano a rimanere chiusi. In alcuni casi a distanza di anni. Nell’anno del record, mostrare un po’ d’interesse per quel che invece di mostrare degli incrementi registra dei decrementi non sarebbe certo una debolezza. Nell’anno dei tanti “più”, soffermarsi sui molti “meno” indizierebbe un reale interesse per l’elevazione delle performance dei luoghi della cultura. Di tutti i luoghi della cultura. Insomma di quelli che fanno l’Italia. Da sempre. Ma forse non per sempre.

Articolo Precedente

Leonardo Benevolo, l’anti archistar che ci ha insegnato la bellezza

next
Articolo Successivo

Zygmunt Bauman, morto a 91 anni il sociologo della “modernità liquida”: il suo antidoto al pensiero globale

next