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Imola, la discarica TreMonti? Ampliata? No, ma sopraelevata sì. La protesta: ‘Veleni sottoterra’

Imola, la discarica TreMonti? Ampliata? No, ma sopraelevata sì. La protesta: ‘Veleni sottoterra’
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In un territorio meraviglioso, tra suggestivi calanchi, ai confini del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola, sorge la più grande discarica per rifiuti urbani e speciali dell’Emilia-Romagna. Da qualche anno Hera, Comune (di Imola) e Regione la vogliono ampliare; dalle attuali 4.500.000 metri cubi (m3) di rifiuti, il progetto di ampliamento prevedeva ulteriori 1.500.000 m3  facendola diventare una delle più grandi d’Italia. Eppure le Direttive europee impongono che le discariche debbano andare a esaurimento e la stessa legge regionale punta a raggiungere l’obiettivo rifiuti zero entro il 2020.

TreMonti è una discarica vecchia di 40 anni, che sorge in una zona franosa e sismica. Nonostante la Valutazione di Impatto ambientale sia favorevole, i dati di alcuni campionamenti in corrispondenza del fiume Rio Rondinella e nei terreni limitrofi alla discarica di Imola, sono poco rassicuranti.  Il comitato “Vediamoci Chiaro ha trovato i medesimi valori tossici registrati da Arpa: cromo esavalente, arsenico, nichel, (tutti composti cancerogeni e mutageni), solfati e nitriti, in misura dalle tre alle sette volte superiore al valore limite, oltre alla presenza di stagno, piombo, alluminio e manganese. La discarica doveva contenere solo rifiuti inerti e non pericolosi ma evidentemente qualcosa di diverso vi è stato sversato illegalmente nel tempo e per quantità rilevanti.

Qualche mese fa la Soprintendenza ha bocciato l’ampliamento perché insisterebbe su territori sottoposti a tutela paesaggistica. Non potendola allargare, allora la Regione decide di alzarla. Via libera al progetto di sopraelevazione fino a una capacità di 375mila tonnellate di rifiuti, per un massimo di tre anni.

Comitati, cittadini, l’associazione Medici per l’Ambiente (Isde) sono fortemente preoccupati. Il Position paper di Isde Italia sullaGestione sostenibile dei rifiuti solidi urbani, riporta una lunga e documentata lista di gravi patologie in popolazioni che abitano in prossimità di discariche. E’ noto che le discariche siano anche la destinazione finale della maggior parte delle ceneri prodotte dalla combustione di rifiuti, tranne quelle da combustibili solidi secondari (Css) utilizzati nei cementifici e utilizzate nella produzione di clinker/cemento.

Ma le discariche servono davvero? La strategia rifiuti zero prevede che le discariche siano sempre più piccole, man mano che migliora la riduzione e differenziazione dei rifiuti. Purtroppo le aziende come Hera che gestiscono sia la raccolta differenziata, sia le discariche, che gli inceneritori, hanno un evidente conflitto di interessi: perché aumentare il tasso di riciclaggio, se questo vorrebbe dire diminuire il guadagno tratto dalle discariche e dagli inceneritori? Ecco spiegato il motivo della resistenza ad attuare bene e integralmente la raccolta porta a porta e la tariffa puntuale in tanti comuni.

Alcune città come Forlì, coraggiosamente, stanno cercando di gestire la raccolta in house, slegandosi dal monopolio Hera.

Ma non aspettiamoci che il cambiamento venga solo dall’alto. Dovremmo anche cambiare la nostra mentalità di cittadini, il nostro stile di vita. Ridurre i rifiuti, gli imballaggi e la plastica usa e getta, perché come dice il recente rapporto dell’Istituto superiore per la Protezione e la ricerca ambientale (Ispra), è più quella che si brucia, che quella che si ricicla. Il progetto “Rifiuti zero” permetterebbe di far rifiorire l’economia locale: negozi sfusi, mercatini, calzolai, sarti, falegnami, centri di riuso, piccoli produttori, aggiustatutto e robivecchi.

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