di Paola Tamma
Vivo a Londra da meno di tre mesi, e oggi tornando a casa ho aperto la posta e ci ho trovato una lettera del mio “local council” (l’amministrazione di zona), che mi invita a iscrivermi al registro elettorale. Posso farlo online in pochi minuti, o compilando il modulo che mi hanno recapitato con tanto di busta preaffrancata. Se non rispondo entro un mese, rischio una multa di 80 pound.
Mi ha quasi scioccato questa coercizione al voto – siete sicuri di volere proprio me, un’immigrata? Sì, il nome e l’indirizzo sono i miei, e da straniera residente posso votare nelle elezioni locali. Caspita, ho pensato: per votare alle Comunali di Roma a maggio ho dovuto scontrarmi con la burocrazia capitolina, e non ce l’ho fatta. Qui, se non voto, addirittura mi fanno la multa.
Dopo Brexit, Trump ed il referendum costituzionale si è sentito spesso parlare dei rischi della democrazia. “La democrazia funziona solo nei Paesi civilizzati”, “Non bisognerebbe sottoporre questioni complesse come la Costituzione o l’appartenenza all’Unione Europea alla popolazione, troppo ignorante, emotiva e incauta”, “La gente ormai vota con la pancia e non con la testa”.
Un granello di verità esiste: il voto, che sia un’elezione o un referendum, e sempre di più una protesta, un pretesto per esprimersi contro la casta e lo status quo, un tentativo di rimescolare le carte. L’alternativa, il dopo, non importa – e più urgente dare un taglio netto. Che poi Trump e Theresa May siano la quintessenza dell’establishment contro cui si rivoltano i votanti è un paradosso di cui faccio fatica a capacitarmi.
Ma Trump, Brexit e il No del 4 dicembre non dimostrano i limiti della democrazia in mano a “masse ignoranti e sconsiderate” semmai mettono in evidenza il divario enorme fra votanti e votati.
La maggioranza di chi ha votato No è giovane, vive in aree a basso reddito e con alti tassi di disoccupazione. Una generazione, la mia, che non si fida di Renzi, che rappresenta la continuità con la casta ed i poteri forti (Patto del Nazareno, salvataggio di Banca Etruria e simile sorte per Monte dei Paschi). Ma l’affluenza record dimostra che non siamo una nazione di inerti bamboccioni. Il messaggio è chiaro: “Del futuro non ci importa, perché ci state rubando il presente”.
Io al referendum ho votato Sì, assieme al 57% dei 230mila italiani nel Regno Unito. Un risultato che in Italia assomiglia soltanto a Firenze (56%). Ho votato Sì, di certo non perché mi abbiano convinto Renzi o il Pd, ma perché un Paese con cinque crisi di governo in meno di 10 anni non va da nessuna parte.
Siamo noi che andiamo altrove. Dove i servizi funzionano meglio, e le possibilità di guadagnarsi una vita propria sono più verosimili. Dove l’invito a votare ci viene recapitato per posta, e non solo quando fa comodo a una delle parti.