Chi ha lavorato con lui conserva ricordi precisi. Il sigaro che accendeva appena sceso dalla moto per dare qualche tiro prima di entrare in uffici in cui il divieto di fumo è legge da anni. E l’abilità nelle ricerche d’archivio. In primis gli archivi delle questure, che conosceva alla perfezione, ma anche di procure e apparati di intelligence, da cui aveva acquisito fascicoli e atti che poi si era studiato per le sue annotazioni destinate alla procura di Brescia.starg

 

L’ispettore di polizia Michele Cacioppo, nato il 28 aprile 1957 a Menfi, in provincia di Agrigento, è stato un protagonista silenzioso di una stagione. È quella delle indagini, seguita agli anni della strategia della tensione, delle stragi, dei depistaggi, dei morti nelle banche, nelle stazioni, nelle piazze. In forza ai servizi antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di prevenzione, praticamente da sempre era stato in prima linea in indagini delicatissime. Ustica, per citare solo un episodio, con le 81 vittime morte a bordo del Dc9 dell’Itavia abbattuto il 27 giugno 1980 nei cieli del Mediterraneo.

Altro grande capitolo professionale per Michele Cacioppo è rappresentato dalle indagini sulla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, quelle che hanno portato, nel secondo processo d’appello, alla condanna all’ergastolo della Fonte Tritone, al secolo Maurizio Tramonte, e del medico mestrino Carlo Maria Maggi, uno dei vertici di Ordine nuovo, l’organizzazione di estrema destra il cui nome si è indissolubilmente legato agli anni delle stragi in Italia.

Era instancabile, Michele Cacioppo. I colleghi che lo hanno conosciuto 25 anni prima della sua morte, avvenuta a Roma il 6 dicembre 2016, non riescono a richiamare alla memoria un solo episodio in cui l’ispettore si fosse alterato, figurarsi se poteva cedere all’ira o alzare alla voce. All’affermazione si può facilmente trovare riscontro. Basta ascoltarsi una delle deposizioni rese nel corso dei processi per la strage del 28 maggio 1974 e messe online da Radio Radicale. Oppure leggersi passaggi delle annotazioni firmate in calce da lui.

Eppure Cacioppo – il volto un po’ da sbirro e gli occhiali a goccia – ne aveva macinati di argomenti che avrebbero potuto indurirlo o, quanto meno, renderlo un po’ più cinico. Argomenti come la Rete Gehlen, nata dalla Germania nazista per servire Washington nella lotta anticomunista nel Vecchio continente – Italia compresa – con i soldi della Cia e relazioni d’intelligence più che solide con realtà come l’Aginter Press, centrale dell’eversione che da Lisbona si irradiava in un bel pezzo d’Europa (di nuovo Italia compresa).

Cacioppo non solo aveva compreso, ma aveva documentato l’utilità di personaggi come Karl Hass, uno dei boia delle Fosse Ardeatine, e il suo camerata Herbert Kappler, fuggito dall’ospedale militare del Celio il 15 agosto 1977 con il supporto, si sarebbe saputo molto tempo dopo, di un servizio segreto occulto, non istituzionale, il Noto Servizio. L’ispettore Cacioppo aveva solcato in lungo e in largo documenti che dimostravano i legami tra colonnelli neri dell’eversione italiana come Massimiliano Fachini, Franco Freda, Gianni Melioli, Giancarlo Esposti e Claudio Mutti.

Ne aveva provato i rapporti, aveva compilato centinaia di verbali d’interrogatorio e studiato altre storie di quegli anni, dal cosiddetto processo “Tiro a segno” alla strage di Peteano del 31 maggio 1972. A lui, inoltre, va tributato il merito di aver scoperto un luogo importante per le indagini sui massacri degli anni Settanta, il casolare di Paese, in provincia di Treviso, gestito dall’ordinovista Giovanni Ventura che lo aveva trasformato in deposito di armi e di esplosivo.

Una volta lasciata la polizia per il sopraggiungere degli anni della pensione, Michele Cacioppo non aveva smesso. Da consulente stava continuando a lavorare per i magistrati di Brescia e da un po’ anche per la procura generale di Roma, impegnata sul caso Moro. Tutto questo, però, le cronache del 6 dicembre 2016 non l’hanno riportato. Si sono limitate a segnalare un incidente stradale avvenuto in tarda mattinata sul Lungotevere della Vittoria al Flaminio. Auto contro moto. Centauro deceduto sul colpo. Conducente in stato di choc. Traffico in tilt.

Non una parola sul lavoro e sul passato del poliziotto che non si arrabbiava e che sapeva leggere gli archivi (e negli archivi) della storia italiana. Perché lui era un protagonista silenzioso della sua, di stagione.

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