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Quando penso a un migrante… sento ‘una lingua da cui si vede il mare’

Quando penso a un migrante… sento ‘una lingua da cui si vede il mare’
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Rubrica mensile che nasce per mettere in risalto l’immagine con la quale fumettisti, cantautori, scrittori e artisti in generale hanno scelto di rappresentare la figura del migrante, tra immagini, musica e parole.

Oggi pubblichiamo un racconto inedito di Giovanna Pandolfelli. Presidente del comitato locale della Società Dante Alighieri, traduttrice UE, specialista di bilinguismo e redattrice su varie testate, si interessa di letteratura di migrazione e ha contribuito al Rapporto italiani nel Mondo del 2016 (Fondazione Migrantes). Nel 2016 ha pubblicato il libro Guanti bianchi – racconti dedicati a tutti i bilingui nell’anima (Edizioni DrawUp).

Uma língua
é o lugar donde se vê o Mundo e em que
se traçam os limites do nosso pensar e sentir. Da minha
língua vê-se o mar. Da minha língua ouve-se o seu rumor,
como da de outros se ouvirá o da floresta ou o silêncio do
deserto. Por isso a voz do mar foi a da nossa inquietação.
(Vergílio Ferreira).

Una lingua è un luogo da cui si vede il Mondo e nel quale si tracciano i limiti del nostro pensare e sentire.
Dalla mia lingua si vede il mare. Dalla mia lingua si ode il suo rumore, come da quella degli altri si sentirà il rumore della foresta o il silenzio del deserto. Per questo la voce del mare fu quella della nostra inquietudine.
(traduzione di Giovanna Pandolfelli).

“Dalla mia lingua si vede il mare”… Perché non ci ho pensato? Perché non ho scritto io queste parole così vere? Avete mai pensato a cosa si vede dalla vostra lingua? Cosa si ode o che odore emana? Dalla mia lingua si vede il cielo azzurro, anzi celeste, lo dice la parola stessa: “ciele-ste, il colore del cielo” che è quell’azzurrino tenue illuminato da una luce tanto forte da renderlo quasi trasparente, rarefatto. Dalla mia lingua si vede il sole, quello che picchia in estate e che scalda anche in inverno. Quel sole che squarcia le nubi, anche quelle più fitte, ma lui ce la fa sempre. Già perché il mio sole è maschio, è virilità e forza, potenza del calore e della luce. Di che colore è il sole? Giallo per convenzione, bianco quando ti acceca, rosso quando cala sull’orizzonte e tinge le nuvole di rosa, di tanti colori quando chiudi gli occhi e ne conservi la sua impronta prepotente sulla retina. Il mio sole è maschio, virile, forte, ma anche violento come l’uomo che infierisce. Dalla mia lingua si vede la luna, signora imponente che altrove decide su immense masse d’acqua salata, no, lei dalla mia lingua si vede docile e discreta, non infierisce, è femmina nella mia lingua. La mia luna è fragile, sottomessa, insicura, dominata da un sole che a volte infierisce su di lei fino a soffocarla.

Da una lingua si può vedere tutto questo. La lingua è una finestra sul mondo, è l’occhio della mente che vede oltre, dove tu non riesci a vedere. Vede fuori e vede dentro, nel buio profondo della tua anima. Può una lingua avere occhi e orecchie? certo che può. La lingua è suono, melodia, musica, logica, ritmo. E’ il tempo che scorre, il ricordo del passato, l’urgenza del presente, la speranza del futuro. La lingua dice senza dire e nasconde ciò che vuole dire. Una lingua ti parla con i sensi. Dalla mia lingua si sente il tintinnio delle stoviglie attutito dalla porta socchiusa, i passi della mamma indaffarata, l’acqua che scorre fresca nel lavabo. Dalla mia lingua proviene musica, suono di strumenti, orchestra di voci. Notti all’aperto per guardare in su e scorgere le stelle, leggende e storie.

Dalla mia lingua si profondono odori meravigliosi, il pomodoro fresco e il basilico stuzzicante, il pesce appena pescato che odora di sale, intensi fiori di gelsomino, ginestre, mimose e pini.

La mia lingua è verde, anzi rossa, anzi azzurra, ha i colori delle olive mature appena colte pronte per essere portate al frantoio, del pomodoro succoso e del mare calmo. Ma è anche bianca come la farina polverosa del mugnaio, come il sole accecante che vi batte sopra. Grigia è la mia lingua della pagine buie di giornale di un secolo fa, senza colori e senza speranza. Nera come i visi dei nostri uomini rimasti intrappolati nelle miniere straniere e nera come quei visi della povera gente che è riuscita a sfuggire alla morte in mare in cerca di vita. La mia lingua è anche questo: i tuoi colori, i tuoi sapori, i tuoi odori. E dalla mia lingua si vede anche il mare.

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