Sono passati diversi giorni dall’uscita di Harry Potter e la maledizione dell’erede, la nuova avventura (scusa Merlino) del mago più famoso della storia. Avete avuto il tempo per leggerlo e, anche se in questo post non troverete spoiler, se non volete farvi influenzare nel giudizio fareste meglio a ripassare tra qualche giorno. Avrei potuto scrivere questo post il giorno dopo l’uscita del libro perché, per la rapida natura di testo teatrale, si legge in un baleno, ma ho preferito aspettare per non dare un parere affrettato.

Il mio amico Harry merita rispetto, pazienza, e perfino il beneficio del dubbio. Ma devo ahimè ammettere che del mio amico Harry in questo libro ho trovato ben poco.

Non mi sono messo in fila a mezzanotte per comprarlo perché adesso ho un figlio a cui non mi andava di far fare tardi. Ma soprattutto perché le mie aspettative erano inferiori, e anzi temevo una delusione. Ora, chi mi conosce sa che non è facile sopportarmi in fatto di meraviglioso, che si tratti di cinema, libri o videogiochi. Rimango spesso deluso, non mi accontento, tendo ad aspettarmi uno sforzo da parte di chi scrive, sceneggia o programma che sia all’altezza, ma che di solito non colpisce abbastanza forte da far suonare la campana.

Forse perché mi piace polemizzare, ma soprattutto perché quando si tratta di alcune vicende entra in campo la passione, quella vera, che crea la speranza di vivere emozioni forti, che ridondino nell’anima fino a far riemergere quelle provate nel passato. E in questo libro la ridondanza è un battito di ciglia.

Sono tra quelli che hanno stroncato l’ultimo Star Wars, che non accettano le ingerenze della Disney nel mondo Marvel, che non capiscono il senso di investire milioni di dollari in un remake o in un reboot. “Sei tu che sei invecchiato” mi dicono gli amici, “siete voi che avete smesso di sognare” gli rispondo io.

Harry Potter e la maledizione dell’erede nasce come un’opera teatrale, unica forma possibile per raccontare questa vicenda secondo mamma Rowling, e quindi come libro si presenta in forma di sceneggiatura dove, oltre ai dialoghi, trovano spazio le soluzioni sceniche, ma non le approfondite descrizioni che avevano contribuito a rendere le atmosfere dei romanzi leggendarie. La lettura scorre quindi veloce ma non agevole, per il bisogno continuo di capire chi parla e cosa sta succedendo. Il plot è un po’ banale, ma quale che fosse l’idea, il confronto con la monumentalità della saga avrebbe reso qualunque cosa inadeguata, sebbene da miss-mezzo-miliardo-di-copie-vendute mi aspettassi qualcosa di più.

Sono passati alcuni anni da quando ci siamo lasciati sul binario 9e¾ . Albus Severus, il giovane figlio di Harry Potter, deve confrontarsi con l’ingombrante ombra del padre che, pur essendo affettuoso, non sembra dotato della sensibilità necessaria a capire i problemi del figlio. Nelle fessure di questo rapporto si insinuano i progetti delle forze del male, che ovviamente cercano di rimettere l’Oscuro Signore sul trono del mondo. I nuovi protagonisti ricalcano fedelmente le orme dei genitori, intrufolandosi in luoghi protettissimi e debellando nemici dai poteri superiori, potendo contare principalmente sul valore dell’amicizia e della fiducia, contro tutti i pregiudizi rimasti in sospeso.

Così riaffiorano vecchi rancori, antichi conflitti finiscono per essere superati, e alcuni nemici di ieri si rivelano nuovi alleati. Tutto questo ha un che di armonico con le vecchie atmosfere, e mi ha fatto emozionare. Ma ciò che mi ha lasciato prima perplesso, e poi deluso, è stato l’espediente narrativo (ab)usato del viaggio nel tempo che, non solo sa di già visto, ma che era stato usato in passato, e con migliore parsimonia, probabilmente proprio per evitare considerazioni alla ma allora perché non lo hanno fatto prima?

Intendiamoci, mi ha fatto piacere leggere questo libro, è stato bello riavere a che fare con Harry, Ron, Hermione e tutti gli altri, mi sono sentito, come ho letto da qualche parte, in compagnia di vecchi amici, e in fondo l’escamotage di usare una forma narrativa diversa mette in parte il testo al riparo dal confronto con i libri del passato, sebbene l’autrice stessa lo abbia battezzato ufficialmente come ottavo della serie. Ma alla fine sono rimasto con la sensazione che provavo dopo le pizzate del liceo, quelle in cui rivedevi i compagni dopo tanto tempo e niente era più come prima, se non la consapevolezza che il tempo era passato.

E non c’è giratempo che tenga quando si tratta di nostalgia.

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