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Tiziana Cantone, quanti altri casi prima di garantire il diritto all’oblio?

Tiziana Cantone, quanti altri casi prima di garantire il diritto all’oblio?
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Bene ha fatto Peter Gomez a riflettere pubblicamente sul caso di Tiziana Cantone, non esitando a interrogarsi, anche autocriticamente, sulla opportunità di dare comunque notizie e immagini relative al suicidio e soprattutto a quel video in rete (comunque non diffuso da ilfattoquotidiano.itche avrebbe innescato la scelta di togliersi la vita.

Quel video, peraltro, era stato “oscurato” da un tribunale che ne aveva ordinato la rimozione in nome del diritto all’oblio, su richiesta della famiglia di Tiziana che, evidentemente, avvertiva il peso che stava schiacciando la ragazza. Quel divieto non è stato rispettato dai gestori, da molti utenti e da alcuni siti di informazione. Eppure mai come in questo caso il richiamo al diritto all’oblio e alla tutela della dignità della persona era fondato, anzi sacrosanto.

Nel caso in questione non esisteva neppure la possibilità di appellarsi alla rilevanza sociale, alla esposizione pubblica dei personaggi, al superiore interesse della comunità a essere informata. La pubblicazione di quel video e il mancato rispetto della sentenza del tribunale sono stati errori etici, ancor prima che professionali. Riconoscerlo pubblicamente è doveroso, anche per sbarrare la strada a chi, a prescindere dalla tragedia di Tiziana, tenterà di riproporre la strada dei bavagli e dell’allargamento dei segreti e dei divieti.

Al di là della tragica vicenda resta il tema delle modalità di contrasto della violenza e dello squadrismo dilagante dentro la rete. Bisogna arrendersi? La rete è un luogo svincolato dal rispetto della Costituzione, dei codici, delle norme etiche e deontologiche?

Chi crede nella libertà di informazione ha il dovere di tutelare il diritto di chiunque a indagare, a illuminare le oscurità, a utilizzare ogni mezzo, intercettazioni comprese, pur di svelare corruzione e malaffare e colpire logge e consorterie di ogni natura e colore. La “radicalità” di una inchiesta non può essere insidiata da nulla e nessuno; altra cosa è invece il radicalismo verbale di chi ritiene lecito colpire l’interlocutore con la calunnia, l’ingiuria, la falsificazione, il pestaggio mediatico, il razzismo, l’omofobia, l’istigazione al femminicidio o all’Olocausto.

Questi comportamenti vanno contrastati, denuciati, cancellati dai nostri siti, senza nulla concedere alla retorica di chi vorrebbe nascondersi dietro l’articolo 21 della Costituzione. Sarà appena il caso di ricordare che madri e padri della Costituzione concepirono quel testo per favorire la libera circolazione delle opinioni e per contrastare quello squadrismo che aveva distribuito fuoco, piombo, manganelli e olio di ricino contro il nemico di turno.

Manganello e olio di ricino non possono essere tollerati neppure oggi, né sulla piazze tradizionali, né su quelle mediatiche.

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