Donne

Melito di Porto Salvo, vince l’omertà e la cultura dello stupro

Déjà vu. Una donna, una ragazza o poco più che bambina, denuncia uno stupro ma viene sottoposta ad un processo. Da vittima diventa colpevole. “Se l’è cercata”: è la pietra tombale che viene calata sulla richiesta di giustizia delle donne. Parole indecenti tessono la gogna nella quale la vittima viene esposta al disprezzo della comunità. Al posto della condanna della violenza, la solidarietà agli stupratori. Nei centri antiviolenza conosciamo innumerevoli storie di donne che dopo aver denunciato uno stupro hanno lasciato la città dove vivevano per i giudizi che la comunità aveva scagliato loro addosso. Parole come pietre per colpire le donne che svelano l’indicibile e si sottraggono al silenzio.

Nel 2007 il paese di Montalto di Castro fu solidale con gli stupratori. Questa volta è accaduto a Melito di Porto Salvo, un piccolo paese della Calabria di 14 mila abitanti. La ragazza che ha denunciato le violenze oggi ha sedici anni, ne aveva 13 quando cominciò ad essere ostaggio delle violenze di nove uomini. In Paese tutti sapevano, dice Federico Cafiero De Raho, il procuratore capo di Reggio Calabria che ha parlato di arretratezza e mancanza di sensibilità. Tra gli arrestati ci sono anche il figlio di un maresciallo dell’esercito, il fratello di un poliziotto e il figlio di un boss a dimostrazione che la cultura dello stupro si radica ovunque. Di cattivi e “bravi ragazzi” che si sono macchiati di stupro è piena la storia e spesso sono proprio i media che attenuano le loro responsabilità o li assolvono, diventando la cassa di risonanza dell’ostilità per le vittime di stupro. Una doppia vittimizzazione che a volte avviene anche nei tribunali come è stato denunciato in un convegno organizzato da D.i.Re, lo scorso mese di febbraio.

Nelle associazioni che tutelano le donne vittime di violenza è esplosa l’indignazione. Titti Carrano, presidente D.i.Re ha invitato la ministra Boschi ad andare al più presto a Melito Porto di Salvo: “Nel Paese italiano dove una ragazza di 16 anni, di un metro e 55 per 40 chili è stata violentata da un branco di nove giovani maschi fin da quando era una bambina di 13 […] le operatrici del centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza erano andate a formare le donne della Fidapa di Melito, artiste, professioniste, imprenditrici, preoccupate per il clima di violenza e intimidazione e determinate ad aprire uno sportello contro la violenza alle donne. Anche la scuola ha fatto il suo dovere, accorgendosi della tragedia che accadeva e ascoltando la ragazza. Eppure queste cittadine e questi cittadini ora rischiano l’isolamento”.

Su La Stampa, Niccolò Zancan ha raccontato che alla fiaccolata organizzata (e biasimata dalla comunità di Melito) contro la violenza, si sono presentati in poche centinaia, in larga parte provenienti da altri paesi della Calabria. Ben poca solidarietà è arrivata da parte delle figure istituzionali che hanno il dovere di difendere la legalità e la dignità umana e senza indugio dovrebbero condannare la violenza con parole forti e chiare. I parroci di Melito han fatto il bis: Domenico di Biase ha praticato il cerchiobottismo: “Son tutte vittime, anche i ragazzi” (quindi nessun responsabile) ed ha usato parole biforcute rammaricandosi che su questa vicenda non sia calato il silenzio, il secondo parroco, Benvenuto Malara invece ha detto “In paese c’è molta prostituzione” offendendo la verità e rendendo evidente che tutto ciò che sa dello stupro l’ha appreso dalla Bibbia. Forse sarebbe meglio che i parroci di Melito tacessero.

Il sindaco Giuseppe Meduri invece, è salito sul palco per attaccare una giornalista del Tgr Calabria, colpevole di aver raccolto e divulgato i giudizi lapidari dei compaesani schierati contro la ragazza e a difesa degli uomini accusati di stupro. Ha detto: «Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi». Quando le offese sono lo stupro, la solidarietà con gli autori di stupro, le ingiurie per le donne che denunciano le violenze e l’eterno e implacabile invito al silenzio che continua ad essere loro rivolto. Un silenzio che è doveroso spezzare.

@nadiesdaa