Ma come, la sinistra liberale a Roma vota Raggi? E chi altro sennò? Nel nostro quindicinale (che potete scaricare gratuitamente qui) non mancano le analisi del voto e le nostre proposte, andatevele a leggere perché non hanno nulla a che fare col chiacchiericcio di queste ore presente sui giornali inginocchiati davanti al potere renziano. Abbiamo anche riportato i dati “veri” sulla catastrofe del Pd di Roma. Numeri che sono pietre. Certo, non ci meravigliamo perché il personaggio è noto per saper giocare solo alla playstation e per essere stato il killer di ciò che restava di pulito nel Pd romano, ma stavolta, Matteo Orfini, ha superato se stesso e invece di annunciare le sue dimissioni dalla politica per provata incapacità, ha avuto la faccia tosta di dichiarare che «leggere questo risultato come un successo grillino è onestamente ridicolo».

Noi siamo contenti che il Pd a Roma abbia perduto 93.782 voti pari al 12,32% (considerando anche i voti alle liste civiche a sostegno di Marino nel 2013 e di Giachetti oggi), ma non perché vogliamo male al Partito democratico, ma perché siamo convinti che ci vorrà una decina d’anni di digiuno dal potere affinché possa rigenerarsi. Ma, per farlo, deve mandare prima di tutto a casa gli uomini “onestamente ridicoli” che ha al suo interno. Allora al ballottaggio avremo Raggi sindaco? Non è affatto detto. Anzi. La mia non è una previsione, ma una preoccupazione seria sì. In un sistema elettorale con ballottaggio, alla prima tornata, gli elettori danno un voto politico o di appartenenza. A Roma sono stati chiari e hanno “eletto” sindaco Raggi. Nel secondo turno, quello decisivo, gli elettori danno quello che considerano il voto più utile.

Adesso leggetevi questa digressione didascalica pubblicata l’anno scorso dal Corriere della sera: «Caso unico sul pianeta, il Comune di Roma possiede una propria compagnia assicurativa che copre dai rischi tutti i suoi veicoli. Ma a un costo assurdo. Il Campidoglio paga infatti alle Assicurazioni di Roma (Adir) premi 3,2 volte più cari rispetto al Comune di Milano. E liquida sinistri ancora più salati, con un rapporto rispetto al capoluogo lombardo di 4,2 a uno. (…) Ma altrettanto scalpore avrebbero dovuto provocare i 92.662 euro di costo pro capite di ogni dipendente, contro una media di 68 mila delle compagnie private, e con “prestazioni di lavoro autonomo” salite del 42% in due anni». Solo due esempi, che possono dare solo un’idea vaga della greppia romana. Che si aggiunge alla delinquenza pura.

Adesso una domanda: le decine di migliaia di sanguisughe che, da decenni, con amministrazioni fasciste e piddine, nonché tutto il sistema più propriamente delinquenziale di Mafia capitale, nel primo voto si sono divise tra Marchini, fascisti e giachettiani, possono suicidarsi permettendo venga eletto un sindaco che prevedibilmente li affamerà? Ieri Luca Odevaine, vice capo di gabinetto del sindaco Veltroni, diceva «Roma è nostra». Colui che un giornale certamente non sovversivo come Il Messaggero ha definito «il continuatore di Mafia Capitale sotto nuove spoglie», «quello che metteva in comunicazione, rendendo fluido il meccanismo criminale sulla pelle di Roma, i tre pezzi del potere marcio unificato, quello della malapolitica, quello della mala amministrazione pubblica, quello della malavita». (Tutto questo è stato reso possibile anche perché il sindaco Veltroni nel frattempo inciuciava, e io ne sono stato testimone, col cardinal Ruini per intitolare la Stazione Termini al Papa amico di Pinochet e protettore di Marcinkus).

Certo che ne abbiamo viste delle belle in tempi recenti. Il degrado politico e morale dei discendenti del Pci è stato rapido quanto prevedibile. Questi tre pezzi, che fanno parte di un unico sistema, abbandonano la “loro” Roma nelle mani degli intrusi del M5s? Ora sono tutti dietro alla foglia di fico del povero Giachetti, che si è volentieri prestato a un’operazione indecente. Quindi dobbiamo renderci conto che gli apparati corrotti, ma anche i singoli famigli, si riuniranno tutti contro Raggi e a favore di Giachetti. E non si fanno aspettare, oggi già escono allo scoperto – con una certa faccia tosta – sbandierando il tema delle Olimpiadi, come possibile mangiatoia per tutti.

È prevedibile che tutti gli utilizzatori iniziali e finali del marcio sistema capitolino si aggiungeranno agli uomini della Casta. Persino gli uomini di Sel possono vedere nella sconfitta di Giachetti la fine della loro carriera politica. In un sistema ormai tripartito la casta farà di tutto per non far vincere gli “intrusi”. Molto significativa, ancora prima del prime votazioni, è stata la dichiarazione di Barca, più Pci che Pd, che in caso di ballottaggio Meloni-Raggi avrebbe votato sicuramente Meloni. Memore inconscio – aggiungo io – della togliattiana Lettera ai compagni in camicia nera. Declinata nel solito ma ignobile dogma comunista: “Meglio allearsi coi nemici che accettare la competizione nella propria area”.

Da qui la nostra preoccupazione. Il 19 giugno Raggi potrà diventare sindaco solo a due condizioni: o gli astenuti “per disgusto” questa volta capiscono l’importanza della posta in gioco per la loro città e scendono in pista o aumenta l’astensione, perché molti che hanno votato al primo turno per altri partiti provano un certo ritegno a imbarcarsi col partito della continuità con gli apparati del passato. Speriamo bene.

di Enzo Marzo

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