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Beni culturali, riusiamo le arene esistenti. Anche il Colosseo

Beni culturali, riusiamo le arene esistenti. Anche il Colosseo
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3573839-9788845282089Al Salone del libro di Torino Marcello Sorgi ha presentato il suo ultimo libro-provocazione ‘Colosseo vendesi’, dove si ipotizza la vendita del nostro monumento simbolo ad uno sceicco per 1000 miliardi. Provocazione che, a detta dell’Autore, tanto non sarebbe, se è vero che secondo un suo minisondaggio il 40% degli italiani non si mostrerebbe così sfavorevole se questo “sacrificio” servisse a risolvere definitivamente il nostro pauroso deficit.

Questo fatto è di per sé sconcertante e non è dato sapere se chi è favorevole sia persona di media cultura, cittadino esemplare solo esasperato dalle troppe tasse e dai continui scandali, oppure uno di quei soggetti che preferiscono passare le domeniche alla tv ed il massimo dell’ardimento culturale è aggirarsi tra le viuzze di un outlet – finto borgo antico – anziché visitarne uno autentico.

Certo è che l’affezione ai nostri Beni culturali, nonostante il continuo parlarne, appare un esercizio di pura retorica e che non produce alcun significativo beneficio alla salvaguardia attiva del nostro patrimonio architettonico. Lo sterminato tesoro di edifici storici demaniali quasi 50.000, al di là dall’essere venduti e in qualche caso svenduti, possono viceversa costituire una risorsa costante e duratura: una vera e propria rendita senza intaccarne il decoro e la bellezza.

Lo stesso Colosseo, restaurato per opera dello sponsor privato Della Valle, potrebbe riacquistare una maggiore dignità se, anziché finti gladiatori, venditori di paccottiglia cinese, guide tarocche, fosse il fulcro di attività culturali sceniche di altissimo livello; una volta ripristinata l’arena, inopinatamente e scelleratamente rimossa in due tempi nel 1874 e nel 1938 (ne scrissi qui).

Il non senso è che vengano costruite brutte arene, discutibili teatri, improbabili centri convegni, pretenziosi palazzi delle feste anziché riusare gli esistenti già armonicamente inseriti nell’ambiente, ma la vanità e prosopopea delle archistar e dei loro committenti volti a passare alla storia per le grandi opere, non ha fine.

Altro controsenso è che s’invochi il non consumo del suolo, il risparmio energetico e soprattutto il turismo culturale, dovuto principalmente ai nostri monumenti, quando gli stessi non vengono recuperati; dubito che gli stranieri vengano attratti dal nuovo teatro dell’opera a Firenze o di Verbania o dai grattacieli di Torino o dall’ipotizzato waterfront di Reggio Calabria.

Il paesaggio, altro elemento da preservare come i monumenti, già previsto dalla lontana Legge 1497/39 e successivamente dal D.Lgs 42/2004 e s.m.i., viene costantemente compromesso da nuove opere finite mai finite, mal progettate e mal costruite, senza che nessuno paghi le conseguenze di danni irreversibili, uno stupro continuo, un monumentificio perpetrato impunemente.

Un caso emblematico e frutto di una schizofrenia collettiva è quello della aberrante demolizione avvenuta nel 2005 dell’anfiteatro di Sezze di Marcello Piacentini, tutelato e considerato uno degli esempi più interessanti di osmosi tra architettura e natura (i gradoni erano scavati dalla roccia), per costruirne uno nuovo ma inagibile non perché incompiuto ma perché inadeguato il progetto per la destinazione d’uso prevista e per questo oggetto di strali da parte dell’Unione Europea che chiede la restituzione dei finanziamenti

Al di là delle sanzioni non interamente previste e quasi mai applicate, questo spreco di suolo, di risorse economiche, di memoria, di storia, costituisce il vero assalto alla grandezza, alla credibilità ed alla Bellezza del nostro Paese.

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