Quello della domenica non è un pomeriggio qualunque e qualsiasi editore che appena se lo possa permettere lo progetta come l’ottavo prime dopo i sette della sera. Tutto perché sono molti quelli che il pomeriggio del dì di festa alla fin fine se lo passano in casa e dunque con la televisione accesa. Nel contempo la natura della programmazione deve essere diversa da quella degli usuali pomeriggi feriali, disegnati sui gusti di tribù piuttosto ben definite: quelli, per stare a Canale 5, che si divertono con Uomini e Donne, gli instancabili seguaci del Segreto, gli adoratori di Barbara, la Joan Collins peninsulare dalla tenace desiderabilità. Insomma, quando chi lavora fuori casa lascia libero il campo, chi sta a casa si lascia andare ad appuntamenti consueti, che scandiscono il ritmo stesso della vita domestica.

Alla domenica invece bisogna mettere d’accordo più persone nella stessa famiglia e l’appuntamento da liturgico diviene sostanziale, deve cioè valere la pena di decidere di starsene a casa anziché uscire a fare due passi. Un pubblico da “conquistare” e non una platea acquisita a priori.

Tutto questo, almeno, in teoria. Ma se guardiamo negli ultimi quattro anni la composizione del pubblico del pomeriggio di Rai 1 (20,3% dalle 14 alle 16.30; 13,5% di share dalle 16.30 alle 18) ci sembra che quegli spettatori, più che “conquistati” siano in qualche modo “predestinati”. Siamo sempre sui tre milioni di spettatori: quattro su dieci con istruzione elementare; per due terzi donne e con una marcata concentrazione (due terzi) fra gli over 55. La schiacciante maggioranza (anche qui pari ai due terzi – che sembra la cifra magica della situazione – del totale) appartiene, a quanto sembra, al ceto medio-alto o medio-basso (su o giù a seconda del livello economico). A questi si aggiunge poi un ulteriore strato a bassa istruzione, ma con un cospicuo conto in banca (un segmento dove lo share per il pomeriggio domenicale di Rai 1 vola da anni al 35% per cento).

L’interrogativo a questo punto è se un pomeriggio domenicale che scolpisce così tassativamente la composizione del proprio pubblico di anno in anno sia assimilabile alla erogazione di un servizio “su misura” o non somigli invece alla organizzazione di un ghetto. O, che sarebbe lo stesso, di un esatto complemento del pubblico parallelo di Canale5 (12% di share ) che è più ristretto, ma vede più numerosi proprio i meno anziani che a Rai 1 latitano.

Insomma, se vedono Canale5 i giovani in casa non mancano e non stanno tutti a chattare o piluccare YouTube. E dunque, se la Rai non riesce proprio a interessarli, qualche domanda potrebbe porsela anziché allestire il solito, implacabile, thè da Villa Arzilla.

Articolo Precedente

Rai, nuovi palinsesti: previsti meno talk e più proposte nazional-popolari. Sobrietà nel Servizio pubblico? Bignardi ha ragione

next
Articolo Successivo

“Dov’è Mario?”, Guzzanti torna con il suo gioco del Doppio che mette in crisi la nostra realtà

next